“Lo ammetto potevamo, dovevamo fare di più e meglio. Abbiamo sottovalutato la vischiosità di un certo costume collusivo, dominante nel nostro paese, anche nell’ambiente intellettuale. Il fatto è che una cultura civile, etica e politica non si improvvisa a colpi di articoli, di seminari e di libri raffinati. Deve essere una motivazione diffusa, un valore condiviso”.
La spiegazione di Salvatore Veca, si ritrova nel libro I panni sporchi della Sinistra – I segreti di Napolitano e gli affari sporchi del PD di Ferruccio Pinotti e Stefano Santachiara (Chiarelettere, 2013 pp 382) ed è forse la sintesi più alta per meglio definire il fenomeno di una trasformazione. Poi, leggendo, si scende più in “basso” per una lettura che aiuta soprattutto gli elettori di questo partito, i quali ad ogni sconfitta o azione incomprensibile si domandano: perché? Intanto Silvio Berlusconi, la sera del 27 novembre scorso, per contrappasso della legge Severino, sebbene con grande lenta agonia, è stato espulso dal Parlamento. “Ousted” – “Voted out” – “Expelled” i giornali esteri di matrice anglosassone hanno declinato, nei vari sinonimi di cui è piena la lingua, la decisione del parlamento italiano. Lo spartiacque quindi non fu il 2011 quando si insediarono i “tecnici”, ma il 27 novembre 2013. Leggere I panni sporchi della Sinistra – I segreti di Napolitano e gli affari del PD di Ferruccio Pinotti e Stefano Santachiara è come alzare il velo semioscuro che copre tuttora quella parte di schema che non si è mai del tutto riusciti a svelare. L’intervista con uno degli autori, Stefano Santachiara, giornalista d’inchiesta e collaboratore de “Il Fatto Quotidiano”, vuole chiarire lo scopo del libro e soprattutto apre squarci su una storia che tanto nota non è: le inchieste di cui si parla poco e male, le collusioni e il peccato endemico che ha portato alla trasformazione antropologica di un partito che doveva essere altro.
Nel libro “I Panni sporchi..” vi è una disamina completa di tante vicende che riguardano l’attuale PD, sin da quando lo si riconosceva simbolicamente in Berlinguer, attraverso le vite e le imprese di alcuni personaggi chiave del partito. Qual è stata la necessità di fondo, urgente, per ricostruire il quadro del centro sinistra? Si è sentita l’effettiva mancanza da parte della stampa di quella parte del racconto sul centro-sinistra anche nelle varie vicende ambigue e di corruzione in cui è coinvolto?
Ritengo vi fosse la necessità di comporre un quadro organico, utile a comprendere le ragioni dell’involuzione progettuale e culturale della sinistra italiana. La pubblicistica, nonostante le costanti polemiche dentro e fuori dal Pd inducano il lettore a credere il contrario, ha trattato in modo superficiale e talvolta omissivo le vicende che incidono nei centri nevralgici del Sistema. Non già il caso celebre di turno, ma quella serie d’inchieste giudiziarie e giornalistiche che riguardano le relazioni opache, i conflitti d’interesse, gli strumenti sofisticati che anche i democratici utilizzano per concludere affari e accrescere potere.
Alla luce della nuova maggioranza di governo dopo lo scollamento di Forza Italia e la recentissima decadenza dal parlamento di Silvio Berlusconi, la figura di Giorgio Napolitano da voi descritta nelle sue varie sfaccettature (da migliorista ad atlantista fino alle sue evidenti sintonie con l’ex onorevole Berlusconi) può essere rivista in un altro modo?
Il rapporto tra Napolitano e Berlusconi ha visto alternarsi fasi di esplicita sintonia e di allontanamento tattico. Teniamo conto che il leader della rediviva Forza Italia non è finito: da un lato una legge (la ex Cirielli, ndr) lo mette al riparo da eventuali rischi di detenzione carceraria, dall’altro cercherà di tornare premier senza passare dalle elezioni che condurrà in chiave ancor più vittimistica. Inoltre, l’ipotesi di un atto di clemenza da parte del capo dello Stato, ammesso che non vi siano le condizioni di concedere la grazia come egli ha dichiarato, non è da escludere. In ogni caso, quando la situazione evolverà in senso negativo per Berlusconi, che come ogni fenomeno umano è destinato a esaurirsi, Napolitano sarà il barometro. “Re Giorgio” è garante supremo del potere atlantico, benvoluto dal Vaticano e legato a doppio filo alla sinistra della Seconda Repubblica. Non va, infatti, dimenticato che il berlusconismo, la gestione padronale e dozzinale delle istituzioni entrata nelle viscere del Paese con le sue macerie morali, ha implementato un sistema ben più ampio. Per restare solo al tema giustizia, nei 7 anni di governo, la sinistra come abbiamo analizzato nel libro, non ha cestinato alcuna “legge vergogna” ma ha finito per aggiungerne di proprie. I governi “tecnici” si sono intestati gli interventi di macelleria sociale, dettando i tempi della dottrina dell’austerity e delle privatizzazioni dei settori strategici dello Stato. La sinistra moderna ha cercato di accomodarsi nel salotto buono e allacciato rapporti con spregiudicati finanzieri. Napolitano ha osservato queste stagioni con il dovuto distacco, ma ha sempre giocato e continuerà a giocare un ruolo di primo piano nella sfera geopolitica.
Nella precisa e direi nuova biografia del Presidente della Repubblica sono riportati alcuni fatti che ai più sono sfuggiti nel corso della storia e degli eventi, come quello sulla fuga dell’ex venerabile P2 Licio Gelli, proprio quando Napolitano nel ’98 fu nominato Ministro dell’Interno. Altro fatto risalente a quegli anni, poi, è proprio l’audizione del collaboratore di giustizia Carmine Schiavone presso la Commissione Parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti (1997), resa nota dopo la rimozione del Segreto di Stato. Per quasi 20 anni quelle informazioni fondamentali sono rimaste chiuse in un cassetto. Sempre tutto all’insegna dell’equilibrio?
E’ l’emblema di un Paese che si accontenta di pezzi di verità, spesso verità di comodo. S’insabbia a più livelli perché evidentemente il coacervo di poteri che regge i destini del Paese, non permette che si creino le condizioni per far luce sulle stagioni oscure: a partire da quella strategia della tensione descritta mirabilmente da Pier Paolo Pasolini. Inoltre i media italiani, guidati da editori impuri con interessi diversi ma collegati fra loro, hanno ridotto ai minimi termini il giornalismo d’inchiesta. Per rendere l’idea dell’attuale strategia della “dispersione” e della “rimozione”, basti pensare che si venerano i Kennedy mentre sulla figura del “nostro Jfk”, Aldo Moro, è calato da tempo l’oblio.
Tu paragoni Aldo Moro a JFK in termini di potenzialità di cambiamento, che il primo, attraverso la strategia dell’attenzione culminata poi con il compromesso storico, avrebbe tentato di applicare. Tuttavia Moro quella “strategia” la mise in piedi solo perché da stratega politico qual era si rese conto che non era più possibile lasciare fuori un partito che nel Paese stava contando sempre di più. La strategia in realtà era volta solo a una normalizzazione, un contenimento che il PCI ha accettato in gran parte, e con le dovute iniziali differenze, per stare nelle stanze del potere. A mio parere Moro anche qui in Italia non viene visto sotto una luce obiettiva. Cosa ne pensi?
Condivido questa chiave di lettura su Moro, considerando il ruolo di baluardo che assunse la Dc nello scacchiere internazionale e la connaturata propensione alla politica dei due forni. Credo che la figura di Moro sia stata elevata a icona, ma appunto rimossa in molti aspetti cruciali.
Un’altra figura chiave della fusione “a freddo”, per citare Achille Occhetto da voi intervistato nel libro, fra sinistra ed ex democristiani è Luciano Violante, che attraversa la vita politica, dopo una mirabile carriera da magistrato, anche lui in un perfetto equilibrio. Il culmine di quest’equilibrio sembra essere proprio la vicenda sulla trattativa Stato-mafia (che vede coinvolto in termini di testimone anche Napolitano) che lo vede protagonista con tardive deposizioni sul suo ruolo negli anni in questione (92-93). Violante, come raccontate, si era precedentemente speso sempre con molto equilibrio e cautela sull’eventuale possibilità di non opportunità della decadenza di Berlusconi. Questa volta cosa è successo? Quale nuovo equilibrio secondo te si sta formando se si sta formando?
Credo siano tutti ancora in attesa. I movimenti di Violante tuttavia sono da osservare con particolare attenzione perché parliamo di un protagonista camaleontico delle fasi più delicate della storia italiana contemporanea. Dopo aver indagato sul golpe militare di Edgardo Sogno, Violante ebbe come primo incarico quello di consulente del Ministero della Giustizia del governo Andreotti di solidarietà nazionale. Da presidente della Commissione parlamentare antimafia è stato dipinto come il principale accusatore del “Divo Giulio” in convergenza parallela con l’inchiesta dell’allora procuratore di Palermo Giancarlo Caselli. In quella fase, come hai ricordato, Violante ha tenuto un atteggiamento ambiguo per la mancata audizione di Vito Ciancimino in Commissione e le conversazioni col generale Mario Mori, riferite solo 16 anni dopo. Sono convinto che la confessione del 2002 di un accordo sottobanco con Berlusconi, per l’intangibilità delle tv Mediaset, possa rappresentare una sorta di sdoganamento del consociativismo, un messaggio da decodificare, tipico di gruppi politici che condividono segreti.
Nel capitolo “Mafia nella roccaforte rossa” sul caso Serramazzoni (Comune emiliano coinvolto in un’inchiesta giudiziaria apertasi nel 2011 che vede mafia e politica a braccetto), si afferma che è stato il “primo” caso accertato fra mafia e politica, nella fattispecie PD: cosa s’intende per primo caso accertato?
Per la precisione si tratta del primo caso al Nord che riguardi il Pd di governo. A prescindere da come si concluderà il processo per corruzione e turbativa d’asta, in relazione ad alcuni lavori affidati in project financing sul dorsale appenninico, sono già provati (e ammessi) i legami fra il sindaco democratico di Serramazzoni Luigi Ralenti e l’ex soggiornante obbligato Rocco Baglio, di Gioia Tauro. Secondo l’accusa il boss con una mano otteneva gli appalti e con l’altra commetteva incendi dolosi inviando a un costruttore una testa di animale mozzata, metodo inequivocabile che ritroviamo nella simbologia mafiosa. Anche se i fenomeni di collusione restano maggioritari nel centrodestra, a partire dal fondatore di Forza Italia, Marcello Dell’Utri condannato per concorso esterno in associazione mafiosa, la florida impresa internazionale delle “Mafie spa” pervade anche la sinistra, e non più soltanto al sud.
Interessante è il quadro sulle donne del PD che nonostante proclami e poche nomine recenti un po’ rappresentative (e ovviamente a parte le grandi figure del passato come Nilde Iotti e Tina Anselmi) non sembrano trovare posto rilevante e di potere. Perché secondo te questo? A parte il resoconto da voi fatto nel capitolo relativo: “Le donne del PD”?
Le ragioni sono legate all’arretratezza culturale della società patriarcale, influenzata dal Vaticano. La sinistra, sia pure con i suoi dogmi maschilisti non scritti, aveva permesso alle donne di conquistare ruoli e diritti fondamentali nei grandi fermenti del Novecento. Il fatto che la spinta propulsiva si sia arenata, ed oggi il Pd si comporti analogamente agli altri partiti italiani, potrebbe essere legato all’entrata nella stanza dei bottoni e alla concezione del potere che procede per cooptazione, secondo criteri non meritocratici. Eppure esistono esempi di donne che eccellono per rigore e coraggio nell’analisi e nelle proposte, ottime amministratrici che sfidano le mafie come raccontiamo anche nel libro.
Stefano Santachiara giornalista d’inchiesta, dal 2009 collabora con Il Fatto Quotidiano; Ferruccio Pinotti lavora al Corriere della Sera ed è autore di numerose inchieste sui poteri forti
(Simona Zecchi)
Link all’articolo de La Voce di New York
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