Il gufo del deficit
James Galbraith è il “gufo del deficit” per antonomasia. Come il padre John Kenneth, gran consigliere di Roosevelt e di JF Kennedy, è fonte inesauribile di proposte di stampo keynesiano. Da Yanis Varoufakis all’amministrazione Obama, le scelte cruciali passano per l’illustre docente di Public Policy dell’università del Texas. Non troverete sue foto nella squadra di governo Usa o al fianco dell’ex ministro greco con cui ha scritto la Modest Proposal, perché Galbraith bada alla sostanza, quella che spaventa il mainstream e affascina il mondo della sinistra. Nell’intervista concessa in esclusiva a Left non usa mezzi termini per descrivere i disastri della troika che rifiuta di «riconoscere i fallimenti precedenti» e cerca di «distruggere il governo greco eletto». A suo avviso anche un accordo migliorativo sul debito non basta, per la crescita economica e sociale è necessario costruire un’Unione europea che non sia solo monetaria.
C’è tutta la sua teoria economica, nel ragionamento. Per Galbraith occorre rovesciare il dogma neoliberale che considera lo Stato come una famiglia o un’azienda, perché il deficit di bilancio consente di realizzare «investimenti pubblici di capitale sia a breve che a lungo termine». E ancora: «Incrementare le tutele è una maniera semplice, diretta, progressiva e molto efficiente per prevenire la povertà e sostenere il potere d’acquisto di questa popolazione così vulnerabile». Manca solo, dunque, di convincere i socialdemocratici. Galbraith misura le parole ma considera possibile, per la sinistra, l’emancipazione dalla Terza Via: «Sta già accadendo, in Spagna e in Irlanda». Ma non gioite troppo presto: «Non accadrà in Italia», aggiunge, «a meno che il Pd non trovi coraggio e si faccia portatore di una visione differente»
Il governo Tsipras stretto all’angolo dalla Troika. Chi sono i maggiori responsabili di questa situazione?
La responsabilità principale è di coloro che hanno progettato un sistema economico così disfunzionale, di quelli che hanno voluto il disastroso salvataggio bancario del 2010 e della leadership europea attuale – inclusa la presidente del Fondo Monetario, Christine Lagarde – che hanno rifiutato di riconoscere i fallimenti precedenti.
Le teorie post keynesiane spiegavano gli effetti recessivi dell’austerity. Perché sono state così combattute, mai prese in considerazione?
Nella maggior parte dei casi, i mezzi di comunicazione mainstream riflettono gli interessi finanziari dei loro proprietari, che hanno davvero poco in comune con quelli dei loro spettatori o lettori, ecco perché.
Quali interessi? Perché il capitalismo finanziario teme così tanto le vostre proposte?
Pensavo, ad esempio, al signor Murdoch. Il fatto che abbia una preferenza per governi che facilitano il suo business e che si opponga a governi che invece sostengono gli interessi di una più ampia fascia della popolazione è una sorpresa? Spero di no.
L’amministrazione Obama, dopo la crisi del 2008, ha aumentato il disavanzo pubblico fino al 10 per cento del Pil per rispondere ai bisogni sociali. In che modo è stata influenzata dai suoi consigli?
Non ho avuto alcuna influenza sull’amministrazione Obama, al di là di alcune forme di supporto tecnico ad una forte manovra per la ripresa nel 2009 (il riferimento è al piano da 787 miliardi di dollari investiti in sanità, welfare, infrastrutture e riduzione delle tasse sul lavoro, nda)
Quali sarebbero le conseguenze per il paese ellenico e per l’Eurozona, in caso di Grexit?
Il problema di fare default dentro l’Eurozona è che la Bce controlla le banche, e può chiuderle, come sta già facendo. Presumibilmente, lo scopo è quello di distruggere il governo eletto, sostituendolo con un nuovo governo che obbedirà agli ordini e non opporrà resistenza. È un approccio molto miope che finirà per distruggere la credibilità e la legittimità della Bce, se non lo ha già fatto.
Quando l’Italia nel 1993 lasciò lo Sme per ridare ossigeno all’export il governo privatizzò e svalutò il lavoro. Come giudica un’eventuale uscita dall’euro attuando policy di sinistra per combattere le disuguaglianze?
Come in una famosa non-dichiarazione di Zhou En-Lai sugli effetti della Rivoluzione Francese: “È troppo presto per dirlo”.
Nella trattativa con l’Europa, pesa anche l’ipotesi che la Grecia finisca nell’orbita della Russia. Quale ruolo stanno giocando gli Usa?
I russi sono troppo furbi per dare sponda a questa sorta di provocazioni infantili, e i greci sono troppo intelligenti per pensare altrimenti.
Solo ora i media parlano di tradimento del progetto originario di Unione politica europea. Per una moneta come l’euro è necessario un sistema di trasferimenti fiscali tra Stati per riequilibrare le bilance dei pagamenti?
I trasferimenti fiscali sarebbero più utili se destinati agli individui piuttosto che agli Stati. Ad esempio: un fondo comune per i sussidi di disoccupazione, un’unione dei fondi di previdenza, ed altre forme di sostegno al reddito e di protezione sociale.
Complementarietà fra socialismo e keynesismo. Quali risultati potrebbe dare l’abbinamento di politiche redistributive, facendo leva su una forte tassazione progressiva, e piani strategici di investimenti pubblici?
Il keynesismo non ha bisogno del socialismo, e il socialismo non ha bisogno del keynesismo. Detto ciò, una politica di tassazione progressiva e di investimenti pubblici, che non è stata né socialista né keynesiana, ma ha combinato alcuni elementi di entrambe le politiche con un sistema di imprese capitalistiche e garanzia dei diritti dei lavoratori, ha funzionato molto bene negli Stati Uniti a partire dal New Deal di Franklin Delano Roosevelt fino alla fine degli anni ’60. E in Europa durante i “gloriosi trenta”.
(Left Avvenimenti, 18 luglio 2015)
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