A 68 anni dalla deportazione, a cinque dall’inizio del processo e a 18 mesi dalla morte della vittima, il tribunale civile di Bologna ha condannato la Repubblica federale tedesca a risarcire i familiari di Angelantonio Giorgio, giovane militare di Melito Irpino prigioniero per due anni nel lager di Dachau. Il giudice Chiara Graziosi ha disposto un rimborso per danni fisici e psicologi pari a 518mila euro, che diventa circa un milione con i 66 anni di interessi. La sentenza apre uno spiraglio per le richieste di deportati civili e internati militari nel solco di una nuova giurisprudenza, quella che considera inapplicabili la prescrizione e l’immunità dello Stato erede del defunto regime nazista rispetto a ‘crimini contro l’umanità’. La Germania però attende il verdetto decisivo della Corte internazionale dell’Aja sul ricorso presentato nel 2008 contro le sentenze italiane dopo un summit tra Angela Merkel e Silvio Berlusconi, il cui governo non ha mai chiesto di rendere esecutivi i risarcimenti e le condanne penali degli ufficiali del Terzo Reich. Sempre al 2008 risale la sentenza della Corte di Cassazione sul caso degli “schiavi di Hitler”, i cittadini italiani che furono brutalmente deportati e costretti a lavorare in stato di schiavitù nelle fabbriche belliche del Terzo Reich durante la guerra. La Corte bloccò il veto che la Germania aveva più volte proposto contro le cause portate avanti da una cinquantina di ex deportati italiani, stabilendo che è pienamente legittimo chiedere il risarcimento alla Repubblica Federale Tedesca per le sofferenze patite, perché “l’assoggettamento di quegli uomini al lavoro forzato è un crimine contro l’umanità”.
Angelantonio Giorgio era militare di leva a Vercelli. Pochi giorni dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, seduto sul treno che lo stava riportando in Irpinia nel paese natìo, venne bloccato nel corso di uno dei rastrellamenti della Gestapo. Al processo sommario di Monaco di Baviera fu dichiarato colpevole di “comunismo”, lo spettro che da sempre di aggira per l’Europa, e condannato al campo di concentramento. E’ la condizione peggiore: a differenza dei governi inglese e francese che almeno si spesero per i prigionieri, i fascisti di Salò lasciavano i connazionali a marcire nelle baracche, ai lavori forzati per 100 grammi quotidiani di pane nero. All’apertura dei cancelli di Dachau, Angelantonio pesava 38 chili, aveva contratto il tifo e problemi gravi alla vista. Il recupero fisico è stato un percorso lento e difficile, la condizione psicologica, se possibile, ancor di più. La libertà ha un colore diverso poichè il tentativo di esorcizzare un tale incubo necessita di valvole di sfogo, confronto e comprensione. Invece Angelantonio è frustrato da un ambiente alienante, una nazione che per larga parte non conosce il genocidio degli ebrei e non ha vissuto in profondità il dramma del ventennio, ad eccezione dei partigiani e dei perseguitati che si erano opposti veramente al Regime. Soltanto grazie all’affetto dei familiari Angelantonio si riconsegna alla vita, vince il concorso per una cattedra a Carpi, in provincia di Modena. Lo stipendio da insegnante consente di sopravvivere ai cinque figli e alla moglie malata. “Abbiamo vissuto in una realtà difficile – confida oggi un familiare – all’epoca i traumi psicologici portavano dritti al manicomio e poche persone erano disposte ad aiutare, ad ascoltare. Angelantonio era visto come il maestro venuto dal sud con poca voglia di lavorare, negli ultimi anni poi le sue condizioni (ischemia, problemi cardiaci) si sono aggravate fino alla quasi cecità. Fa male ricordare che i servizi sociali del nord gli avevano negato un aiuto rispondendo che invece camminava bene, mentre l’aguzzino di Dachau, Erich Priebke, se ne stava a Roma fuori dal carcere per ragioni di salute. Ce lo ha descritto mille volte come la persona più feroce al mondo”. Priebke, 98 anni, sta scontando l’ergastolo per la strage delle fosse Ardeatine ai domiciliari con cinque ore di libertà settimanali. Gli altri responsabili trascorrono la terza età in Germania, al riparo da ogni estradizione. Le vittime riaccendono la speranza quando le sezioni unite civili della Cassazione, pronunciandosi nel 2004 sul caso del deportato di Talla Luigi Ferrini (poi risarcito dalla corte d’appello di Firenze con 100mila euro), asseriscono che la Repubblica federale tedesca non può trincerarsi dietro il principio di immunità statale nei casi di gravi crimini di guerra e contro l’umanità. La sentenza apre il varco al riconoscimento delle responsabilità dell’ erede giuridico dello stato hitleriano e dunque alle condanne civili per le stragi di Civitella, Marzabotto, Sant’Anna di Stazzema e ultimamente per gli eccidi di Monchio, Cervarolo e Vallucciole. Così anche la famiglia Giorgio nel 2006 si rivolge alla giustizia civile. Il processo, iniziato a ritmi blandi in tribunale a Modena, viene trasferito tre anni dopo a Bologna quale sede dell’Avvocatura dello Stato italiano, nel frattempo citato in giudizio dalla Germania sulla base delle ingenti somme già versate nel Trattato di pace e negli accordi bilaterali del 1961. “Le tesi di Berlino sono state respinte e la sentenza, anche se non ripaga di tanta sofferenza, è innovativa perché afferma un principio – spiega l’avvocato modenese Giorgio Fregni che assiste la famiglia insieme al collega napoletano Salvatore Guzzi – non solo riconosce il diritto al risarcimento per un crimine contro l’umanità, ma anche che si tratta di illeciti imprescrittibili per i quali il tempo non cancella il reato. Il risarcimento è di 518mila euro ma, secondo i primi calcoli, gli interessi che devono essere versati superano di gran lunga il milione di euro”. Angelantonio Giorgio non ha potuto assistere a questa affermazione giuridica della memoria, né alla cerimonia di premiazione con la medaglia d’oro al valore. Il suo cuore ha cessato di battere il 23 aprile 2009, nel giorno dell’anniversario della Liberazione di Modena. In una sola occasione, all’Istituto storico della Resistenza, Angelantonio aveva accettato di parlare dei suoi anni di prigionia che per tanto tempo non furono capiti e compresi. A donargli un sorriso fu una studentessa modenese impegnata in una ricerca per la tesi di laurea. Ora custode di un patrimonio inestimabile.
Germania condannata dal tribunale di Bologna a risarcire un ex deportato di Dachau
25/10/2011
Inchieste Angela Merkel, Bologna, Corte Internazionale di Giustizia dell’Aja, Fosse Ardeatine, Germania Lascia un commento
Ufficiale molestava le cadette, ma la giustizia militare l’ha solo prepensionato
23/08/2011
Inchieste Accademia militare, Bologna, Cassazione, Esercito, magistratura, Poligono, Salvatore Parolisi, Silvio Berlusconi Lascia un commento
Come approfittare della condizione di istruttore per molestare due allieve dell’Accademia militare di Modena e cavarsela senza risarcire un euro nè subire l’onta della riduzione del grado, continuando a gareggiare nei poligoni da pensionato. Parliamo della vicenda del tenente colonnello Domenico Milidone, riconosciuto autore delle prime molestie sessuali a danni di cadette nel 2003, quando non erano trascorsi neppure tre anni dall’ingresso delle donne nelle forze armate italiane. Ci troviamo nel settecentesco palazzo ducale che troneggia nel centro di Modena, primo ente universitario militare voluto dai Savoia e passato per le dominazioni di Estensi e Asburgo, dove oggi le ragazze non sognano più solo il ballo delle debuttanti ma i corsi di laurea che formano gli ufficiali dell’esercito e dei carabinieri. E’ al poligono di tiro a segno che l’istruttore Milidone, per anni nella commissione provinciale esplosivi e range officer allo Shooting club di Bologna, prepara il terreno per lezioni ad hoc. Due ragazze confidano le morbose attenzioni che il graduato riserva loro durante le esercitazioni, anche davanti alle colleghe, forse credendosi intoccabile.
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