Ci siamo, “La purezza del serpente” è arrivato all’ultima riga. Desidero ringraziare coloro che hanno reso possibile questo nuovo racconto, un’avventura di fantasia calata nel contesto del 1918, vale a dire studiosi che mi hanno fornito documenti storici, amici e conoscenti che hanno permesso alla mia ispirazione di prendere forma e hanno scattato meravigliose fotografie. A proposito, fra pochi giorni saranno inserite nelle pagine finali del libro alcune foto di animali e paesaggi! Per anticipare alcuni spunti della storia li associo agli amici, ma in ordine cronologicamente sparso, per non spoilerare.

Giacomo Bertoni, responsabile di filiale del Credito emiliano e consulente finanziario, amico dai tempi del liceo, compagno di mille giochi (su tutti quelli da tavolo Diplomacy, Axis and Allies, calcio e tennis) e avventure

Mentre il dolore veniva lenito dalle carezze, le venne spontaneo di baciarlo. Le gote calzavano la maschera veneziana, dunque Elena spostò le labbra sul lembo vicino all’orecchio. Il colorito della pelle era appena abbronzato; il sapore inebriante, forse per la combinazione fra la salsedine e un sublime profumo orientale. Il capitano s’alzo bruscamente. “Che si sia ritratto per il mio gesto audace?”. Non lo seppe mai. Dietro di loro si erano avvicinati tre pirati. Scambiarono alcune parole in italiano, altre in spagnolo, altre ancora in un idioma intraducibile. Avendole pronunciate un marcantonio biondissimo, Elena ipotizzò una lingua scandinava.

Annalisa Luppi, istruttrice di nuoto a Carpi; amante della natura, dei delfini e dei cavalli in specialmodo; amici fin dai tempi del liceo, in questi anni abbiamo condiviso biblioteche, gite in canoa e concerti.

Stava per andarsene e lasciare il querulo Goffredo, quand’ecco che un flebile nitrito richiamò la sua attenzione. Era un cucciolo nascosto dietro una bellissima cavalla, utilizzata per gli spostamenti con la carrozza. “Lui! Voglio lui! Come si chiama?”. Il marito, rinfrancato per l’entusiasmo della moglie, s’inventò un nome su due piedi: “Publius!”. “In latino?” “Certo! Non sai che la mia dinastia è in parte etrusca e in parte romana? Orbene, devi sapere che l’imperatore Augusto…”. Elena lo interruppe provvidenzialmente. Non avrebbe retto altre lezioni sull’albero genealogico, più presunto che vero: “Ascolta, io mi prenderò cura di Publius, contento?”. L’uomo fece per abbracciarla da tergo ma avvertì un dolore acuto alle parti basse: “Ahia, che male! Come ti permetti brutta…?”. Goffredo credette di aver subìto una gomitata o un calcio all’indietro da Elena. Invece era stato il cavallino a sferrargli una zoccolata nel punto più sensibile. L’uomo lo intese un momento dopo, sedendosi per recuperare il fiato, allorché Elena e il suo pony erano già distanti. Gli saltò in groppa pur avendo scarsa esperienza. Da ragazzina aveva letto diversi racconti di ippica, anche sulle corse e sulle scommesse, ma incontrò solo il ronzino del mugnaio: nella fattoria dove prestavano servizio il padre e gli zii allevavano soltanto mucche, maiali e galline. Lo sguardo di Publius, che percepiva le sue emozioni più recondite, non l’aveva mai immaginato. Divennero inseparabili.

Mirko Rizla, amico cilentano con cui condividiamo alcuni interessi e giochi, il nostro prediletto è la “parola del giorno”, che consiste nel ricercare un termine arcaico e denso di significato per poi stupirci nel percorso etimologico

Nel sottoscala da cui si accedeva alla biblioteca, invece, era appesa una crosta che la inquietava: vi era raffigurato un uomo dall’espressione abietta, il volto tondeggiante, la folta barba nera e una benda sull’occhio destro. Mancava la firma sulla tela, segno che il pittore ne aveva disconosciuto la paternità. Quando scendeva con la candela nella penombra provava una sensazione straniante, come se il soggetto del quadro la stesse guardando. Intravvedeva qualcosa di pulsante, un principio di luccichio tetro nelle pupille. Era il riflesso della fiammella, ma pareva che si fossero mosse al suo transito. Allora accelerava, faceva marcia indietro e ripassava, la volta seguente cercava di distrarsi. Tutto inutile. Il tambureggiare sordo dei cattivi pensieri era sempre lì.

Daniele Ricci, mio principale Cicerone sull’isola d’Elba questa estate, i suoi ricordi e le magiche fotografie sono stati fonte di ispirazione inesauribile

L’elbana continuò specchiandosi nella pietra preziosa: “Qui ci sono luoghi fatati, inaccessibili”. “Relitti sommersi?”. “ Quando eravamo bambine io e la mia migliore amica, stanche di stare sulla riva ad aspettare, ci impossessammo di una barchetta”.
“Wow”.
“Eh, alla fine ci prendemmo una sgridata che ci ricordiamo ancora. Ma ne valse la pena. Remavamo con la forza di due mocciose, praticamente zero. Così fu soprattutto il vento a trasportarci”.
“Dove arrivaste?”.
“Nei pressi dello scoglio isolato, nella zona nord occidentale. Eolo decise di infilarci in una grotta segreta, quasi totalmente sommersa. La barchetta era alta un metro, giusto lo spazio tra le rocce e l’acqua… Noi ci abbassammo e spalancammo la bocca…”.

Sonia Bellucci e David Sarcina, Livorno, ma dovrei dire Calafuria, dove ci siamo conosciuti a pochi passi dal luogo famoso per il film “Il Sorpasso”. Sonia lavora, David fa il casalingo e coltiva la sua passione musicale; insieme mi hanno insegnato che con pazienza e sensibilità i gabbiani possono fidarsi di te al punto da diventare amici.

Pur non avendo una briciola di pane, la ragazza distese il braccio verso il mare aprendo il palmo della mano. Un gabbiano emise un garrito e iniziò a roteare nell’aria. Sebbene la traiettoria lo mantenesse ad una certa distanza, Elena ne colse l’intendimento: “Vuole venire da me”. Si sentì speciale. Non aveva fatto altro che sporgere una cinquina, mentre tutto l’equipaggio agitava le mani da ore. Sulla destra del galeone alcuni delfini nuotavano in superficie. Il gabbiano scese sotto il livello della nave rasentando l’acqua e sfiorando i mammiferi. Elena li contemplava beata, respirando l’aria frizzante. Era la privilegiata spettatrice di un balletto incantevole: “Qui, ora, il cielo danza con il mare nello spirito di due nobili esseri viventi”. Chiuse gli occhi ascoltandoli: le onde cullavano i fischi dei delfini e i versi del gabbiano. La sua mente vagava in una dimensione parallela, le sembrò di udire i flauti e i violini, Mozart e Beethoven, di percepire la sostanza della natura risorta dall’elemento primordiale.

Massimo Manfredi, Pietrasanta, ideatore di un progetto di fattoria didattica per ragazzi disabili appena fuori dalle mura della città d’arte; ora ci sono gli struzzi, poi arriveranno anche i daini e altre specie

L’orso digrignò i denti emettendo un terribile barrito, poi avanzò di un paio di metri. Era sul punto di sbranarli, la ragazza gli guardava la poderosa mandibola, pensò al dolore che avrebbe provato. L’orso però inspiegabilmente si voltò all’indietro, distratto non si sa da cosa. Il bestione stava affrontando un essere sfrecciato a velocità incredibile, alla stregua di un cavallo scuro nella notte. “Cos’è quel grosso pollo nero?”. Si trattava di uno struzzo, l’uccello più alto del pianeta, scattante e gagliardo ma incapace di volare. Alcuni esemplari erano stati importati a Firenze a metà dell’Ottocento dal figlio di un ricchissimo ambasciatore russo. Tutti li sapevano in cattività negli zoo, ma non era improbabile che qualche struzzo fosse fuggito per riprodursi nella selva. Nei paraggi Elena notò voluminose uova, proprio dietro il cespuglio da cui era spuntato l’orso. Lo struzzo, che era un maschio, evidentemente le stava covando. In quella specie animale è la femmina a viaggiare libera lasciando al proprio compagno il compito di prendersi cura dei pulcini. E che cura! L’uccello, preoccupato per le uova, era accorso a spron battuto ad onta della stazza dell’orso, mettendolo in fuga con una rapida serie di beccate. Agli occhi di Elena quel “grosso pollo nero” era l’erede del Tirannosauro, la sua evoluzione naturale.

Jessica Bianchi, responsabile redazionale del “Tempo”, e autrice con Antonella De Minico de “Il silenzio delle campane”, libro sulle reazioni e le tracce a Carpi del devastante terremoto del 2012. Ama le persone che sanno ascoltare, le donne coraggiose, un buon bicchiere di vino e il vento sulla faccia. La nostra amicizia risale agli inizi di entrambi nei giornali a fine anni ’90, è sua la foto del retro della copertina, scattata durante la vacanza sull’Elba.

Lo sfruttamento dei lavoratori si era ridimensionato, Elena aveva concesso pause maggiori e paghe più sostanziose, anticipando persino le rivendicazioni che i sindacati avrebbero avanzato altrove negli anni a venire. Ne conseguirono immediati benefici nei raccolti e nella commercializzazione dei prodotti. Butteri e contadini erano meno angustiati, nei loro occhi, sempre stanchi e timorosi, si percepiva un velo di leggerezza ritrovata. Elena, che si alzava sempre al sorgere del sole, li salutava mentre sfilavano coi forconi e gli animali per andare nei campi, e li accoglieva gentile al tramonto. Ma al centro dei suoi pensieri non stava l’economia, o piuttosto quel rivoluzionario modo di intendere i rapporti di lavoro che aveva inaugurato a sua insaputa. L’apatia che la attanagliava in quella condizione agiata e di relativa libertà era incomprensibile. In primo luogo a se stessa. E non mutava col trascorrere dei giorni, delle settimane, dei mesi. Aveva perduto interesse per l’arte, la musica, la letteratura, il teatro. Specchiandosi in una goccia sull’agapanto si domandava il senso. Non sapeva neanche più se, quel frammento iridescente sul petalo, fosse effetto della rugiada oppure un dono del suo occhio.

Luca Giannecchini, Lido di Camaiore, attore di teatro e informatico esperto: mi ha aiutato a resettare il computer infestato da virus e si è appassionato all’avventura del libro, suo figlio ha comperato una settimana fa non una, ma due copie de “I panni sporchi della sinistra”, edito nel 2013!

Lo smeraldo dei suoi occhi non la metteva in soggezione, magari indicava una certa irrequietezza ma era assolutamente puro. Lo riconosceva dal fischio, forte e prolungato, con cui amava chiamarla a giocare o salutarla dopo una giornata nei campi. Partiva all’alba, stando attento a non svegliarla, con solo un po’ di frutta nelle tasche e rientrava al tramonto. Sempre con la stessa camicia beige a maniche corte, i pantaloncini e i sandali spelacchiati. Lei gli si gettava al collo, le piaceva tastare i muscoli e pure l’odore della vecchia giacca sgualcita, che si scoloriva col passare delle stagioni. Luca le era apparso come un gigante delle fiabe fin da poppanti, l’aveva presa per mano e non l’aveva lasciata mai. Nelle piccole gioie e nei dolori che i bambini provano per mancanza di attenzione degli adulti. E poco importava, a Luca, se era sempre la sorella a vincere il bignè.

Elisabetta Morandini, Forte dei Marmi, friulana di origini canadesi, ha frequentato la scuola Altieri, lavorato come modella e hostess, è appassionata di arte in tutte le sue forme, adora il mare e il tennis. Ci siamo conosciuti sull’Elba, in un forno col pane ai cereali, mi sovrastava con la sua simpatica bombetta nera. E’ sua la foto di copertina.

A inizio secolo Elena attendeva con la sacralità di un rito la mattina della domenica, quando zia Genoveffa la portava con sé. L’ingresso nella bottega era una gioia paragonabile all’accomodarsi nel loggione d’onore per Madama butterfly. Nemmeno avesse il binocolo da teatro, i suoi occhi azzurri individuavano tutti i colori dei pasticcini, ordinati e perfetti come i soldati che vedeva sfilare per le strade con la banda musicale. Elena li pregustava attraverso un girotondo dei sensi e della fantasia: il fiuto dei primi odori le porgeva un pennello immaginario con cui anticipare il confezionamento dei dolci e il primo contatto manuale; il fruscio della carta poteva essere un’onda marina o un vento leggero che disegnava arabeschi sulle nuvole del piacere. I bignè.

Patrizia Gucci, designer, pronipote di Guccio Gucci, fondatore della maison che ha portato nel mondo lo stile italiano; si è occupata delle relazioni internazionali per il gruppo cominciando dalle mansioni più umili come tradizione di famiglia, è appassionata di archeologia e di letteratura, da qualche tempo collega mi onora della curiosità per il lavoro svolto.

Elena possedeva un personalissimo gusto, anche se non lo ostentava affatto, persuasa che la moda fosse una deminutio entro cui relegare l’attività femminile. Si levò gli stivali per rilassarsi meglio. Addocchiò un paio di forbici e dispiegò il talento: il panno divenne una sottana sbarazzina, che legò con una corda da ormeggio. Coordinata al nero della blusa ormai senza maniche le infondeva un’immagine grintosa, ma anche elegante come un’antica tunica romana.

Lara Comi, vicepresidente del Ppe, ci siamo conosciuti durante lo studio e la scrittura del libro ‘I Panni sporchi’, abbiamo in comune la passione per il calcio (lei gioca, io non più, e tifa il Milan come me) e per le bellezze del nostro Paese. Lara è stata premiata come miglior europarlamentare, ha sempre sostenuto il made in Italy, adora leggere e ha il raro pregio di saper cogliere in profondità.

Cominciò a rassettare, lieta che il fratello fosse lì: “Sta sorridendo, sicuramente sogna”. Ripensò alle nottate d’infanzia sullo stesso saccone ripieno di paglia, un giaciglio stretto e scomodo la cui sola praticità era il ricambio di imbottitura la mattina: “Bastava livellare uniformemente la paglia con un’asta di legno infilata nel saccone tramite le tasche. Anna e Piero impiegano un quarto d’ora almeno per rifare i letti”. Luca si sdraiava supino, ma teneva le gambe dritte per lasciarle lo spazio. “Dormivo spesso per prima, dandogli la schiena. E meno male: se attaccava a russare…”. Accese il sorriso: “Sperimentavo la qualunque! La molletta sul naso era chic, ma non serviva a nulla. Idem le spintarelle, l’unico rimedio efficace era farlo rotolare sul fianco. Se non era sufficiente usavo i tappi per le orecchie”. Ciononostante il saccone era il momento più atteso: “Ci sentivamo come due pulcini che rientrano nel guscio dopo ore di tribolazioni, angherie diurne nel pollaio. Luca mi faceva addormentare raccontando la sua giornata nei campi, soprattutto gli scherzi agli adulti”. Il fratellone si nascondeva fra le spighe di mais per consentirsi un bagno al fiume. Si denudava, nuotava fra i paperi e si rivestiva svelto spacciando la pelle bagnata per sudore. “Non so se fosse tutto vero, ma io amavo la sua leggerezza, la capacità di non lagnarsi per la fatica e i postumi del duro lavoro”.

Sabina Guzzanti, attrice romana. Ci siamo conosciuti nei primi anni Duemila attraverso il mio direttore Marco Travaglio, con cui presentava bellissimi spettacoli di satira. Due anni fa ha creduto nel progetto del film sulla meravigliosa vita di Lou Salomé, una personalità che penetra dentro tutti i miei lavori. Non si molla!

Strascicava la lunga vestaglia con noncuranza. Ogni stanza era preceduta da una scultura in marmo: condottieri romani, divinità greche. Cosa avrebbe dato da bambina per averle fra le mani, o anche solo nelle proprie fantasie, mentre parafrasava i poemi omerici? Ora invece le esaminava con freddezza. Nessuna delle opere, scovate dal marito durante qualche asta o presso mercanti d’arte, le trasmetteva emozione. Maggiore attenzione concedeva ai quadri, nature morte che offrivano un punto di vista, scorci agresti dell’entroterra. Elena avrebbe desiderato dedicarsi alla pittura, ma era sicura di non possedere quella speciale attitudine. Da quando Chiara le regalò la scatola dei colori ad acquerello, lei diede libero sfogo all’estro: intingeva le mani con mille idee in testa ma poi non osava ritrarre persone, oggetti, paesaggi; mescolava tante sfumature disordinatamente, come un flusso di pensieri senza filtro, trasfigurando l’acqua nel fuoco, l’aria nella terra. Che il suo spirito selvaggio avesse trovato un canale per esprimersi pienamente? Elena rinunciò a comprenderlo: smise di disegnare poche settimane dopo la partenza di Chiara.

Angelo Martinelli, giudice e scrittore, ci conosciamo dal primo giorno di lavoro nel giornale di Modena, quando mi concesse un’intervista. Adoro i suoi libri, ma più ancora le sue immagini evocative. Cosa pensa uno struzzo, che come una donna di Modigliani ha gli occhi lontani dal cuore? Angelo mi perdonerà se dedico questo passaggio del libro non allo struzzo ma ad una farfalla aliena che brillava nella notte. Il primo giorno era azzurra, nella città bianca e nel brindisi era di mille colori, infine nel mare, guardando il cielo, si specchiava. Non volerà mai più qui ma è un ricordo incancellabile.

La ragazza estese il sorriso come una farfalla aliena che brilla nella notte. Un effetto mirabile che le luci soffuse incorniciarono, tratteggiando i delicati e forti lineamenti. Su quella sedia di castagno la silhouette pareva già una scultura, il collo affusolato l’elevava oltre le fiammelle del candelabro, ma quel batter d’ali, ossia di ciglia, era l’incanto che concede all’arte di vivificarsi; ad Elena di scintillare con la sua iridescente azzurrità.

Mi scuso con quanti non ho citato, vado a memoria ringraziando Raffaella Brignoli, responsabile della Biblioteca di Piozzano, Silvano Nannini, professore di Letteratura studioso di Dante, Giuseppe Pallini, medico di Firenze, l’allenatore Alessandro Pistolesi, le calciatrici Francesca Papaleo, Giulia Mastalli e Rachele Baldi, Giuseppe Recupero, proprietario dell’appartamento in cui risiedo e responsabile dell’ambulatorio medico di Pietrasanta, Alessandro e Grazia, esperti di fumetti e grafici provetti romani, la scrittrice elbana Daria Giuffra, gli attori friulani Paolo Massaria e Claudia Blandino, e l’interprete veneziano Giambattista Rizzardo protagonisti dell’audiolibro di Corpo, la regista di Mirandola Sandra Moretti e le sue allieve Miriam Treglia e Agnese Negrelli, il regista Francesco Guida e il musicista Antonio Sessa di Castellabate, il carpigiano Stefano Stradi, il ferrarese Lucio Russo, gli altri interpreti e tecnici di Corpo pronti a tornare al lavoro.