Romanzo ‘Il pastore e la strega’, anticipazione

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Buongiorno a tutti, ricordate l’avventura di Emanuele, fuggito dall’alienante sfruttamento lavorativo sognando la montagna? In attesa della prima nazionale del film al cinema Flamingo di Capoliveri sabato 7 ottobre, ecco la seconda anticipazione del romanzo!


… Silvio gettò l’ancora e salutò senza ricevere risposta da Ada, pure orientata verso il mare. Una folata fece svolazzare via il foulard di seta, che finì a galleggiare nell’acqua, troppo lontano dal molo per essere recuperato.

Emanuele aveva esaudito il proprio desiderio. Si trovava esattamente in cima alla montagna. Intorno a lui e ad un signore anziano pascolavano alcune capre, le cui sagome si confondevano nella nebbia di marzo, solitamente fitta a quell’altitudine. Lele fremeva dalla voglia di giocare con loro, ma era molto concentrato ad ascoltare i discorsi dell’interlocutore. Era salito fin sulla vetta, per la prima volta, alla guida di una vecchia lambretta prestatagli da un amico e aveva spalancato la bocca innanzi al panorama, rallentando ad ogni tornante per assaporare la visuale delle facciate di granito e delle rocce millenarie a forma di animali, o per esplorare visivamente i colori del bosco e del golfo. Non si curava minimamente del lavoro al capannone, né di dover giustificare in famiglia quella sua prolungata assenza. Ascoltava e annuiva, come un piccolo apprendista desideroso di imparare il segreto dell’artigiano. “Oramai sono vecchio. Non ce la faccio più a portarle qui, mi dispiacerebbe lasciarle…” gli confidò il signore, che evidentemente era l’ultimo pastore rimasto sull’isola. Emanuele ebbe un’illuminazione. Doveva essere lui a raccogliere il testimone. La nebbia che avvolgeva l’estremità del crinale ormai inghiottiva sia i due uomini sia gli animali. “Mi lasci le chiavi della stalla. Domani mattina sarò qui al suo posto”. Il signore lo sconsigliò con paterna premura: “Questa vita è dura. Non ci sono ferie né momenti di riposo. Si segue il ritmo biologico delle capre e della natura”. “Ho già deciso. Sarà la mia vita”. L’anziano pastore inumidì gli occhi e gli diede le chiavi. “Grazie, grazie mille!”. Non ottenne risposta. Il suo benefattore iniziò a incamminarsi per il sentiero perdendosi nel grigiore. Ad Emanuele non restava che sistemare le capre e salutarle per tornare in montagna l’indomani prima dell’alba. “Belle, ora ci sono io con voi”. Esse parvero dargli un benvenuto collettivo, circondandolo. “Ecco, da brave, entrate qui… Ma… che cosa…?”. Un raggio di sole era passato attraverso la nebbia, stava avvolgendo col suo nitore le capre. Saranno state almeno trenta. Gli sorridevano beate. Lele chiuse la stalla e saltò in sella alla lambretta con la gioia nel cuore. Forse non aveva mai provato un piacere così intenso, scendeva a velocità sostenuta, non senza qualche rischio, tendendo l’orecchio al grande torrente. Lungo una curva il terreno scivoloso lo fece sbandare ma lui continuò allo stesso ritmo, guardando in alto, ovvero seguendo la strada a memoria e il fruscio dell’acqua. Respirava a pieni polmoni l’atmosfera e i pensieri inconsci gli donarono due sostantivi da comporre in una sola parola: intensimmensità.

Nel frattempo Ada, allontanatasi dal molo, curiosava fra le botteghe del centro. Un po’ infreddolita per le spalle su cui soffiava la tramontana, entrò in un negozio di abbigliamento. “Buonasera, mi dica”, chiese gentilmente la titolare. Ada aveva già operato la scelta: “Quel poncho lì fuori è di cashmere?”. La proprietaria confermò e si rese disponibile a farglielo provare. Una volta indossato, Ada strinse fra le mani un lembo del maglioncino. Chissà per quale ragione, il profumo del poncho la trasferì idealmente in montagna, in quello stato di grazia avvertito alla sommità, ma questa volta con un richiamo visivo chiaro, la morbidezza del capo di abbigliamento le infondeva nel cuore una speranza, chiuse gli occhi per trasognare la delicatezza di Lele quando l’aveva sfiorata con la guancia. Alla negoziante che attendeva una risposta, Ada disse soltanto: “Lo voglio”.

Lele sentiva ancora l’adrenalina dell’incontro con il pastore e della scelta di vita compiuta di getto. Quando giunse alla foce del grande fiume buttò a terra la lambretta, levò le scarpe e corse a piedi nudi sulla spiaggia. Nel silenzio generale, cullato solo dal lento fruscio del fiume che si gettava nel mare, gli parve di scorgere, in lontananza nella nebbia, una figura antropomorfa in sella ad una motocicletta o a qualcosa di simile. Via via che si avvicinava, a passo piuttosto lento, quella sagoma assunse le sembianze di una ragazza dai capelli neri e fluenti. Non cavalcava una moto ma un bellissimo purosangue. Man mano che s’approssimava Emanuele fu rapito dal suo sguardo. Gli occhi profondi sorridevano smaglianti sotto un velo di malinconia, e restavano incollati ai suoi. Tutt’altro però uscì spontaneamente dalla sua bocca: “Che bella cavalla!”

Sofia: “Sì, è una femmina, si chiama Ruby”.

Emanuele, accarezzandola: “Bella lei”.

Sofia: “Ci sai fare coi cavalli”.

Emanuele: “No! Mai avuti. Però…”.

Sofia: “Però?”.

Emanuele: “E niente. In mezzo agli animali sto bene”.

Sofia: “Anch’o”.

Emanuele: “Devi sapere che oggi ho preso la decisione della mia vita!”.

Sofia, scendendo da cavallo. “Dai!”

Emanuele: “Sì, ho lasciato il lavoro sotto padrone dopo tanti anni e ho comperato trenta capre!”.

Sofia: “Wow!”.

Emanuele: “Le vuoi vedere?”.

Sofia: “Adesso devo rientrare al maneggio e poi mi aspettano a casa”.

Emanuele, pensando ad un rifiuto, rispose mestamente: “Ok…”

Sofia: “Domani?”.

Emanuele: “Sì, domani mattina prestissimo però! Le capre si svegliano all’alba e io voglio conoscerle tutte, una per una…”.

Sofia: “Devi anche scegliere i loro nomi?”.

Emanuele: “Sì sì li scegliamo insieme, ti va?”.

Sofia fece cenno di sì gioiosa.

Emanuele: “E tu… come ti chiami?”.

Sofia: “Sofia”.

(…) Il giallo intenso e spavaldo delle ginestre, fiorite sulle rocce del crinale, accolse a braccia aperte Ada. Erano trascorsi due mesi dalla sua prima venuta sull’isola, protrattasi per quasi una settimana nonostante le rimostranze del marito. Ora quel colore splendente al sole era il preludio dell’estate e lei sentiva un gorgogliare d’emozioni. Silvio aveva parcheggiato una Maserati presa a nolo vicino al Municipio, nel centro del paese. Mentre si recava all’edicola per acquistare un quotidiano, Ada si accorse di un laboratorio artigianale specializzato nella vendita di formaggi di capra. Lo percepì dalla scritta: “Il formaggio di Lele”.

Ada: “Scusi signorina… Lele sta per Emanuele?”.

Sofia: “Sì, perchè?”

Ada: “E’ un ragazzo che prima faceva il fabbro?”


Sofia”:”Sì… ma…”.

Ada: “No, è che… io… sono un’amica”.

Sofia tenne a freno la gelosia che tracimava. Con Lele era stato un colpo di fulmine, non aveva mai dubitato di lui in quei due mesi di fidanzamento, si era gettata fra le sue braccia come mai le era capitato nella vita. “Non sono fatta per l’amore, forse il principe azzurro non esiste. Me ne sto bene qui, fra i miei cavalli al maneggio” era solita raccontarsi mentre spazzolava un purosangue o aiutava un cucciolo a compiere i primi movimenti. Sofia era cresciuta in una piccola fattoria, da genitori contadini. Grazie ai loro sforzi aveva potuto studiare, laureandosi in scienze biologiche, e al contempo era rimasta attaccata alla natura. Con gli animali si trovava a propria agio, del resto nella fattoria i suoi allevavano mucche, maiali e galline. Da bimba si era recata da sola ai bordi del maneggio dell’isola, non molto distante, lo stalliere le permise di vedere i pony riportandola presto alla fattoria. Sofia però non si dava per vinta e ritornava alla prima occasione dai suoi nuovi amici. Già, perchè a differenza degli altri bambini, quelli delle famiglie più abbienti che potevano trascorrere giornate intere dentro al maneggio, non si limitava a guardare i pony e ad accarezzarli su invito degli adulti: Sofia parlava ai cavalli, anche a quelli più grandi, spesso sussurrava nelle loro grandi orecchie in segno di complicità. Ogni volta, quando capiva che sarebbe stata riaccompagnata a casa, si perdeva negli occhioni teneri di un cavallo per fargli una promessa. Le promesse col tempo diventarono piccole carote, braccialetti di fiorellini da lei creati con paziente talento. Con gli anni il rapporto che instaurò con i cavalli si rivelò profondo, quasi simbiotico. Durante gli studi, quando cominciò a svolgere piccole mansioni al maneggio, conobbe Ruby, la purosangue con cui stava trottando in spiaggia il giorno che incontrò Lele. Ruby appena sentiva i passi di Sofia in lontananza, nitriva felice; dopo il lavoro sul campo alzava gli arti anteriori per chiedere il premio: le carote; quando invece capiva che lei stava per andarsene, la sera, muoveva la coda e non smetteva fintantoché Sofia non tornava da lei per un ultimo tenero saluto con… promessa. Sì, Ruby percepiva le sue emozioni più recondite: “Forse”, ripensava ora Sofia, “si è innamorata lei, prima di me, di Emanuele, al primo sguardo”.

La scena del film, scelta dal Fatto Quotidiano per l’articolo dedicato alla finalissima del Near Nazareth film festival, in cui Lele (Alex Ferrini) incontra Sofia (Lara Elena Deiana) che sta cavalcando Ruby.

Il pastore e la strega al NNFest, articoli di stampa

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L’articolo del Fatto Quotidiano in edicola alcuni giorni fa

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2023/07/26/cinema-il-pastore-e-la-strega-finalista-al-festival-israeliano/7241890/

E qui l’articolo del magazine Full d’assi

https://www.fulldassi.it/il-nuovo-film-di-santachiara/

Francesco Nuti il Poeta, e i tanti perché

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Stasera per la prima volta, su Dailymotion, ho guardato OcchioPinocchio, il film che la critica, i giornali, i produttori, insomma il sistema legato a doppio filo con la politica, ha usato a pretesto per estromettere Francesco Nuti, un genio che il pubblico adora e che lorsignori, molti di essi obtorto collo, avevano apprezzato, premiato, celebrato negli anni Ottanta e nei primi Novanta. L’ho visto per la prima volta, ed è singolare se penso che i film di Nuti hanno accompagnato la mia crescita, come un appuntamento fisso, imperdibile, di risate e di tenerezza: certo da piccolo riconobbi i telai della maglieria e mi divertivo con le giocate di biliardo in Madonna che silenzio c’è stasera e in Io, Chiara e lo Scuro ma non potevo cogliere le tante sfumature, così come le liriche profondità di Tutta colpa del paradiso, e anche da adolescente sfuggivano i significati intrinseci di Caruso Pascoski di padre polacco, Willy signori e vengo da lontano, Donne con le gonne e gli altri. Forse ho perduto OcchioPinocchio perché non lo hanno dato subito l’anno seguente in tv (cosa che accadeva per i grandi successi al botteghino) o forse semplicemente perché all’epoca cominciavo ad applicare alla mia esistenza proprio la curiosità vorace insita in quei film: i “perché” riecheggiavano sulle prime relazioni sentimentali, sui primi articoli da giornalista in una particolare realtà di paese, il distretto di Carpi e quello di Prato sono noti per il settore tessile abbigliamento. Anche Francesco Nuti da ragazzo viveva quel momento di curiosità e attesa, nel film mi rimase impresso il consiglio ricevuto da un personaggio naif: “O vinci al Totocalcio, o sposti una chiesa o vai in Perù”. A 19 anni (rispose in un’intervista) aveva scritto la sua canzone più simpatica e oggi famosa, ‘Puppe a pera’, immaginando la donna che sarebbe arrivata. Anche ‘Sarà per te’ , canzone poetica portata più tardi al festival di Sanremo, era una carezza futura.

Ma torniamo al 1994, a OcchioPinocchio, un film spartiacque per Nuti, da quel momento estromesso dagli spazi pubblici del cinema e della televisione. In nessun paese civile per la libera arte, la libera poesia, la libera cultura, sarebbe mai potuto accadere. Vediamolo allora, mi son detto, questo film stroncato all’unanimità dal sistema. Un importante critico, Paolo Mereghetti, scrisse addirittura “film mostruoso”. Se anche fosse stato inguardabile, in ogni caso, non sarebbe mai stato giustificabile il conseguente isolamento di Francesco Nuti. Forse Nanni Moretti non ha mai sbagliato un film? Certo che sì: nessuno si permetterebbe di cancellarlo.

OcchioPinocchio: premesso che non sono un critico e parlo da spettatore, trovo la storia bella e originale, ben studiata e interpretata, forse poco approfondita in alcuni aspetti ma – come si suol dire – avercene, nel panorama odierno poi. Un banchiere miliardario è vittima di un pessimo tiro del fratello, il quale gli rivela post mortem, alla lettura del testamento, l’esistenza di suo figlio, Pinocchio, e di averglielo tenuto nascosto fino ai quarant’anni in una casa di assistenza. Se Una poltrona per due, con la scommessa dei Duke sull’inversione delle vite del manager e del mendicante di colore per dimostrare l’influenza superiore della genetica o dell’ambiente, era una critica ridanciana ai razzisti di Wall Street, l’inizio di OcchioPinocchio fotografa meglio, e in modo più realistico, la condizione avida e cinica del capitalismo finanziario, non priva tuttavia di alcune fragilità umane derivanti dalla paternità. L’interpretazione di Francesco Nuti nei panni di un uomo “con ritardo nella crescita”, ad una prima impressione, è meno eccellente di Dustin Hoffman in Rain man, poiché Pinocchio oscilla tra momenti di estrema ingenuità, di emulazione o ripetizione a pappagallo, ad altri in cui sveste quel “ritardo” per ritornare il Nuti dallo sguardo profondo e dalla battuta folgorante. Se usciamo dallo stereotipo del soggetto con problemi psichici per immaginare una dimensione di luci e ombre, appunto realistica, l’alternanza degli stati diventa un valore aggiunto, spiegabile nel finale in cui Pinocchio svela qualità intellettive impreviste. La scena in cui Francesco Nuti si presenta in pubblico ai quadri dirigenti dell’impero finanziario del padre è beffardamente geniale: notando la differenza con l’ambiente in cui era stato per quarant’anni, dove aiutava persone anziane e povere, Pinocchio si complimenta con il parterre de rois per i vestiti puliti e le dentiere (altra nota personale che mi accompagna nel gioire della grazia di Nuti: pochi anni dopo il film scelsi, come obiettore al servizio militare, di prestare servizio civile presso la struttura protetta comunale per anziani di Carpi). II leitmotiv della giacca da restituire e del bacio per sfuggire all’arresto con Lucy, la ragazza incontrata per caso e sospettata di un omicidio, possono sembrare escamotage logori, ma acquisiscono un senso nel prosieguo della storia. Molto azzeccato anche il ritmo delle scene nella prima parte, eccellente la presentazione di Pinocchio con alternanza fra brevi monologhi di ospiti della casa di assistenza che illuminano la narrazione, musiche adatte e immagini suggestive dall’alto (il mix è un classico dei film di Nuti: in Caruso Paskoski era esilarante l’alternanza di pazienti pittoreschi e ossessivi, musiche ritmate ed espressioni facciali del dottore; piccola digressione per ricordare come Nuti sia stato una sorgente inesauribile di genialità, se il suo essere malin-comico è inimitabile, gli sketch dei Giancattivi e le stramberie paesane avviate da Madonna che silenzio c’è stasera sono stati moltiplicati negli anni a seguire dagli altri comici soprattutto toscani; la storia dell’amore tormentato di Caruso e Giulia, che si allontana per frequentare uno dei pazienti di Caruso ma poi lo ridesidera, sarà imitata da tanti: penso a film banali con lui-Giallini che psicanalizza l’altro-Gassman e alla dinamica della sofferenza di Troisi e del ritorno di Neri nel comunque ottimo Pensavo fosse amore invece era un calesse). Esilarante la scena del ristorante (il livello a mio avviso è quello sublime dell’impacciato Caruso che deve entrare di nascosto nella toilette delle donne per gli incontri clandestini con Giulia-Clarissa Burt, che nella vita è stata un amore grande per Francesco Nuti) nella quale Pinocchio chiede di poter finire la minestra del vicino di tavolo come faceva nella struttura protetta o semplicemente come si usa in famiglia, non meno originale della simulazione dell’orgasmo in Harry ti presento Sally o dei dialoghi fuori contesto di comparse nei film di Allen e Troisi. Le citazioni da Collodi non mancano, dal grillo prima di salire in elicottero alla balena, il capannone dove Lucy e Pinocchio fanno l’amore, fino alla surreale città-giostra, un paese dei balocchi dal sapore felliniano. Scene ben dirette quella nella centrale della polizia, dove il commissario, con la battuta “sono stati visti baciarsi”, chiude il crescendo d’ira del miliardario che praticamente comanda gli agenti di polizia, e la parte del road movie, anche se il genere non è la mia cup of tea: comunque breve e necessaria per il fluire degli avvenimenti e per creare l’affinità con la fuggitiva. Avrei desiderato vedere più scene di Pinocchio nell’ambiente dei miliardari per sviscenarne oltremodo le contraddizioni, il rischio di scadere nei luoghi comuni e nel facile applauso non sarebbe stato corso: Nuti è un creativo genuino e avrebbe reso ogni passaggio in modo orig-eniale. Non so quali siano i venti o più minuti tagliati da una produzione che, a quanto si legge, è stata molto travagliata: addirittura Francesco ha dovuto pagare di tasca propria per portare a termine il film. Non sono aspetti secondari, quando si valuta un lavoro bisogna tener conto delle risorse, del tempo a disposizione, delle lealtà delle collaborazioni. A me comunque la storia è piaciuta molto e il finale aperto, un coupe de theatre come da griffe dell’autore, valorizza ancor più i temi sociali, i momenti divertenti e di riflessione, l’approccio giusto – privo di preconcetti – nell’interpretazione del soggetto con ritardo nella crescita. Pinocchio non è un pezzo di legno che vuole entrare nella società contemporanea come nella fiaba di Collodi ma un eterno fanciullo, ingenuo ma dotato di intelligenza sensibile, capace di fingere una regressione psichica pur di restare fuori dalla peggior dimensione capitalistica, opulenta e artificiale, e di restare così com’è: altruista e ribelle. Il “perché” ribelle con cui Pinocchio risponde all’agente che ordina a lui e a Lucy di andarsene, ripetuto due volte, è il filo conduttore dei film di Francesco e della sua spontaneità genuina, sul set come nella vita e durante le rare interviste. “Perché” è l’espressione primigenia che impariamo da piccoli, è la volontà di sapere e di capire, resta in tutti coloro che mantengono la curiosità in ogni mestiere e ambito dell’esistenza: il perché delle dinamiche del lavoro, il perché dell’ingiustizia, il perché dell’amico, il perché dell’innamorato, il perché fanciullesco della meraviglia.

Resta il perchè, dopo questo film, a Francesco Nuti non sia stato più consentito di lavorare come prima. Per la precisione da quel momento in poi nessuno ha più prodotto una pellicola di Nuti, che è tornato alla regia soltanto nel 1998 con Medusa ma solo per la distribuzione (rende bene l’idea del ‘carabiniere buono’, compare del cattivo, che finge di aiutare, l’immagine di Francesco ospitato quell’anno da Maurizio Costanzo, il paludato Giuliano Ferrara dei salotti televisivi, affiancato da una scollacciata attrice de partito e punzecchiato dal conduttore sulla sua passione per le donne, benchè Nuti fosse sposato dal 1992 con Anna Maria Malipiero e in attesa della adorata figlia Ginevra nata pochi mesi dopo; e nel maggio 2006 una scorretta intervista telefonica di Cruciani). Già, nessuna casa di produzione si è fatta avanti, nessuno dei tanti finti amici che in queste settimane si sperticano in lodi e si mostrano addolorati davanti alle telecamere. Francesco Nuti era perfettamente in grado di recitare, lo si evince non solo in Caruso, zero in condotta del 2001, ma anche, seppur appannato, in Concorso di colpa del 2005 (unico ruolo concessogli il vicequestore di polizia). Non posso sapere in che misura depressione e alcol, fino al grave incidente domestico del settembre 2006, lo abbiano rovinato, quello che è assolutamente falso è il concetto fatto passare implicitamente dai media nazionali (è caduto per “vanità”, “fragilità”, “perdita del successo”, “troppa curiosità”) di una “autodistruzione inevitabile”. Fortunatamente a Prato molti lo conoscevano, gli volevano bene e hanno buona memoria. Nuti avrebbe potuto ancora dirigere, anche nelle difficilissime condizioni degli ultimi 17 anni, ha scritto nuove storie (Olga e i fratellastri Billi e I due casellanti) sempre con la collaborazione del fratello Giovanni, medico, compositore delle musiche di tutti i suoi film, grazie al quale ha dato alle stampe l’autobiografia Sono un bravo ragazzo. Andata, caduta e ritorno per tipi Rizzoli (perché la casa editrice non fa una ristampa?), ma nessuno gli ha dato spazio. Un capitolo è intitolato ‘Maledetto ai Parioli’, famoso quartiere della Roma radical chic. Non bisogna essere scienziati della psiche per capire che una richiesta di aiuto, quella più volte lanciata in appelli anche pubblici dal 2001 al 2006, non va ignorata come è avvenuto. Conosco personalmente la dinamica: se tu, artista o giornalista indipendente senza le mani in pasta, senza capi nè protettori, dunque necessariamente in cerca di produttori del tuo lavoro, non scrivi quello che pretendono, non ti fai portatore di talune congetture, allora non trovi più spazio. Non bisogna essere giornalisti di inchiesta per comprendere che non siamo in presenza di fatalità, piuttosto di azioni consapevoli di soggetti cattivi, scorretti e falsi tese a rovinare le vite di quelle persone libere: in questo caso sono riusciti a determinare, quantomeno a peggiorare, la depressione e l’alcolismo degli ultimi anni di Francesco Nuti, conseguenza e non causa, effetto di quella censura, di quell’isolamento continuativo. In OcchioPinocchio Francesco dice a Lucy la fuggitiva: “Se stiamo insieme, ci possiamo anche aiutare”. É un’espressione semplice, trasparente, bella come il “perchè”. La risposta la trovo nel filo sottile del Poeta Francesco Nuti attraverso i suoi film, in Tutta colpa del paradiso, ad esempio, mi commuove il sorriso finale di Alessandro alla rinuncia felice di Romeo, un sorriso di sollievo, gratitudine, stima, amicizia, solidarietà.

Francesco Nuti dice addio a Ornella Muti e a Roberto Alpi, genitori adottivi di suo figlio, in 'Tutta colpa del paradiso'

La stupenda colonna sonora: https://youtu.be/0t0Z-VY8lpQ

Near Nazareth film festival: bellissima finale!

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Per noi del film ‘Il pastore e la strega’ è stata davvero una splendida esperienza partecipare, seppure da lontano, alla finale del Near Nazareth film festival nella sezione lungometraggi. E’ stato un momento di incontro sociale fra filmaker provenienti da culture diverse e di studio dei lavori cinematografici realizzati in 13 paesi, dall’India alla Spagna (due film), dalla Colombia all’Ungheria, dalla Cina alla Francia, dalla Germania agli Stati Uniti, dal Perù alla Repubblica Ceca, dalla Finlandia alla Russia, che con ben tre pellicole arricchisce il legame con questo importante festival di Israele: https://nnfest21.wixsite.com/website-1/feature-screenplay
Il vincitore è stato il film ‘The Doctor’ di Artyom Temnikov, congratulazioni! E come ricorda il certificato donato dai responsabili del festival di Nazareth, “gratitudine per la cooperazione e il rafforzamento dell’amicizia e della compresione tra le nazioni”

Il pastore e la strega, le date dei cinema aggiornate

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Ecco l’elenco dei cinema che proietteranno Il pastore e la strega al 9 maggio 2023:

Cinema Nello Santi di Portoferraio: venerdì 6 ottobre

Cinema teatro Flamingo di Capoliveri, sabato 7 ottobre

Possibili repliche il fine settimana seguente

Cinema teatro Metropolitan di Piombino, lunedì 23 e martedì 24 ottobre

Cinema Castello di Fabbrico, giovedì 2 novembre e martedì 7 novembre

Cinema Moderno di Piacenza, venerdì 3 novembre e venerdì 10 novembre

Cinema Filmstudio 7B di Modena, martedì 7 novembre e mercoledì 8 novembre

Cinema La Perla di Bologna, venerdì 10 novembre, sabato 11 novembre, domenica 12 novembre

Cinema multisala Novecento di Cavriago, martedì 14 novembre e mercoledì 15 novembre

Cinema teatro Lux di Quistello, giovedì 16 novembre

Cinema multisala Eliseo di Cesena, giovedì 23 novembre

Cinema teatro Facchini di Medolla, venerdì 24 novembre

Cinema II Nuovo di Castelfranco Emilia lunedì 27 novembre

Cinema Zambelli di Boretto, giovedì 30 novembre

Cinema Lux di Fontanaluccia, venerdì 8 dicembre, sabato 9 dicembre, domenica 10 dicembre

Altri cinema che proietteranno il film:

Cinema Sarti Faenza e cinema Mariani Ravenna

Cinema Eden Carpi

Cinema Mignon Mantova

Cinema Grand’Italia Traversetolo

Tour laziale: Cinema Filmstudio di Roma gennaio

Tour veneto: Cinema Robegano di Venezia e Cinema Esperia di Padova febbraio

Grazie a tutti, buona continuazione!





Le rarissime adorabili dominanti

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Le protagoniste dei miei racconti sono spesso ispirate a personaggi storici e a donne forti che la vita mi ha dato la ventura di incontrare. Il caporedattore de ‘Il Giornale’ Vittorio Macioce, nella sua recensione a ‘La purezza del serpente’, scrive che “le donne di Santachiara sono ribelli”.
Certo, se si intende che debbono affrontare le difficoltà culturali ed economiche della società patriarcale maschilista contro cui il femminismo continua a lottare giustamente. Trovo però più appropriata e dettagliata la recensione, durante una serata di letture e musica in Versilia, ad opera della storica dell’arte Elisabetta Landi: “Le donne di cui scrive Santachiara vincono, superano gli ostacoli con agilità”, non si limitano cioè alla rivendicazione di una parità ma sono loro stesse, nelle relazioni, nel lavoro, nelle passioni, nell’arte, nella vita libera e naturale ad affermarsi con gioia.

Non si tratta di premi e riconoscimenti pubblici, che non ricevono a sufficienza per quanto realizzano in società, ma della cosa più importante: tali donne vincono vivendo intensamente, felicemente. Infatti Lou Salomè, citando Spinoza, sosteneva: “Il solo sbaglio è tradire la propria natura, la sola perfezione è la gioia”. Lou, che insieme all’amica Frieda von Bulow sostiene la causa femminista, dice infatti a Frieda che si lamenta del poco spazio riservato ai suoi scritti dal mondo letterario, come quello economico e politico nelle mani dei maschilisti: “Non ho bisogno dei loro spazi, io sono già superiore”. A margine dell’evento teatrale alla Congleton library, dopo le performance di Deborah Edgeley e Mark Sheeky, una coppia di amici che organizza ogni anno il festival ‘Fall in Green’, spiego in uno scalcagnato english il pensiero di Lou:


A vent’anni, nei carteggi con il 40enne Nietzsche, Lou Salomé gli tiene testa e lo supera per originalità, poi attraversa i momenti più artisticamente pregevoli fruttificandoli, più avanti partecipa alla nascita della psicoanalisi influenzando direttamente Freud. Resta coerente con la propria indole, i propri desideri: rifiuta svariate proposte di matrimonio e dice subito chiaramente ai grandi pensatori amici che la loro sarà una “unione casta e fraterna”, cosa che poi avviene malgrado i corteggiamenti anche disperati (non c’è un bene e un male perchè ciascuno segue la propria natura: Lou è chiara nel nutrirsi di arte nelle molteplici forme e gli spasimanti, pur sapendo di essere solo amici, la desiderano ineluttabilmente, soffrendo). Le rare volte in cui Lou si innamora – rompe anche il tabù della differenza d’età vivendo la relazione più lunga con il poeta Rilke di 12 anni più giovane – mantiene salda la propria libertà e fa emergere la complementarietà che forma nella coppia, dove è lei la più forte, anche fisicamente: nella sua autobiografia si legge che non aveva difficoltà a rovesciare il marito Andreas, così come Xenia Onatopp sovrasta spavaldamente l’ammiraglio nel film ‘Goldeneye’

La rarissima adorabile dominante non si sforza di esserlo per assecondare le fantasie del partner (pochi uomini ammettono di averle, uno è Andrea Scanzi) perchè lei è così naturalmente se stessa (evviva!): niente di violento o di aggressivo, nella complicità giocosa dell’intimità, così come quando esprime la sua arte, lei è libera e potente come un fiume in piena, travolge l’uomo che la venera, la ama profondamente e dunque fa di tutto per renderla felice tutte le volte che lei lo porta con sè, in casa o in viaggio, in città o al mare e in montagna. Sì, perché ella vive con pienezza il momento erotico per raggiungere il sommo piacere ma anche tutti gli altri momenti: gusta la tenerezza in ogni istante, con l’amato, da sola, con gli amici, con gli animali, con le beltà del creato e dell’intelligenza umana. Profumi, colori, sapori, poesia, rapporti con la natura e con le altre persone in attività sportive, culturali e nell’arte. Trae il meglio incurante di pregiudizi e giudizi altrui.

“La sola perfezione è la gioia”.


			

Lou Salomè, l’audio-video della scena I

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Una vita ricca di incontri e scoperte, viaggi nei principali centri culturali e nella più profonda interiorità. Lou Salomè (1861-1937) attraversa due secoli sublimando ragione e istinto,filosofia e arte, narrazione e psicoanalisi. Spirito libero e acuta studiosa, respira affinità cerebrali peculiari e rapporti ardentemente delicati, laddove il senso di sorellanza non refrena le passioni tormentose degli innamorati, ricambiate solo in rari casi, come quello del poeta Rainer Maria Rilke, di 15 anni più giovane. Una selettività naturale che non le sottrae la preziosa amicizia di intellettuali e avventuriere impegnate nella lotta per i diritti delle donne, da Malwida von Meysenbug a Frieda von Bulow, e l’invisibile filo che la lega alla madre Louise Wilm. Il percorso esistenziale di Salomé si intreccia a quello dei massimi pensatori di fine Ottocento e inizio Novecento, dimensioni illuminate dal genio e dalla meraviglia in un vortice di emozioni e di crescita che spicca il volo a Roma con l’amor fati di Friedrich Nietzsche e si libra gioiosamente nel cuore del vecchio continente. Al culmine di traiettorie ardite soggiunge alla scienza di Sigmund Freud, spingendo sempre oltre l’iridescente curiosità.

Due anni fa scrissi un libro biografico, una commedia sulla vita di Lou Salomè, il nostro progetto di realizzare il film ora si arricchisce: grazie alla collaborazione degli attori Paolo Massaria e Claudia Blandino, e al montaggio di Francesco Guida, abbiamo realizzato l’audio-video della scena I.

Studio di Sigmund Freud, novembre 1912.

Qui trovate il romanzo biografico in forma di commedia:

Corpo, ben accolti il trailer e il romanzo

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Il trailer di Corpo confezionato dal grande co-regista Francesco Guida! A spettatori e televisioni interessate a trasmettere il film ricordiamo che bisognerà attendere alcuni mesi poiché il lungometraggio è iscritto a festival del cinema, che potrebbero saltare vista l’emergenza Covid, ed è stato selezionato all’università del Connecticut dalla prof. di Cinema e Letteratura italiana Monica Martinelli come spunto educativo per le tematiche trattate che sussumono nei gender studies.

Nel trailer scorrono le immagini di alcuni degli interpreti: giovani talenti della compagnia teatrale Fatamorgana di Sandra Moretti, Miriam Treglia e Agnese Negrelli, l’attore di cinema Lucio Russo, il regista stesso, gli attori di teatro Luigi Pascale, Gerardo Bove, Paolo Agresta, nuove promesse come Anna Aversano e Luigi Tramutola, ma non dimentichiamo chi non compare, ossia i bravi Deborah Guercio e Stefano Stradi, le gag divertenti di Costabile Scarano, già in Benvenuti al sud, e naturalmente il compositore di tutte  le musiche del film, Antonio Sessa della Snapbeat.

Ne approfitto per ringraziare i tanti che ci hanno inviato pareri sul trailer e sul romanzo, ricchi di spunti e di indicazioni utili, anche per la preparazione di un sequel. Sui social alcuni lettori hanno pubblicato con post fotografici la copia di Corpo appena ricevuta dal corriere di Amazon, oppure una parte dell’ebook che li ha particolarmente colpiti. Prossimamente farò una raccolta delle migliori opinioni a cui dedicherò sul blog uno spazio personalizzato!

Naturalmente le sequenze del trailer suscitano curiosità senza lasciar trasparire la trama, sono volutamente disordinate, rapidissime e ritmate affinché tutti possano beneficiare pienamente dell’avventura e dei rapporti fra i personaggi. Anche il romanzo non è etichettabile in un genere definito, secondo il magazine Tempo si tratta di una storia psicologica e thriller, un inno alla libertà che vi farà inerpicare “nei meandri mitologici di Paestum e nei misteri di centri medievali, lungo i sentieri di luce fra la verde montagna e l’iridescenza marina, laddove le relazioni umane disvelano l’interiore profondità, fra l’incanto e gli abissi”.

 

Miriamok

Vi lascio un piccolo frammento

… La macchina procedeva piano come la musica classica della cassetta nell’autoradio. Tutti e due l’ascoltavano immersi nei pensieri più disparati. La strada, salendo, compiva il periplo del rilievo più alto. <<Quello è il Castello del Frate>> spiegò Charles senza approfondire la genesi toponomastica del borgo. <<Tra il castello e il campanile c’è la mia casa>>. Era il suo buen retiro, quivi aveva scelto di trasferirsi anni addietro ma non si era mai appassionato alla disputa storica e religiosa che divide le grazie d’altura da quelle marine. Di lassù, ormai prossimi alla villa, scendendo con gli occhi potevano ammirare un <<colle interamente verde>>, prima base greca via via miracolosamente scampata alle devastazioni di guerra e ora alla cementificazione del Belpaese; il porto e le pinete, i faraglioni e le grotte marine oltre le quali aleggia il mito di una sirena dell’Odissea. Mentre l’uomo era intento a sistemare l’auto nel parcheggio Monika ruotò verso il mare, espanse il sorriso come una farfalla sugli alberi in fiore che si stagliavano sul panorama. L’impulso era di correre sull’orlo del burrone per tuffare lo sguardo nell’infinito, ma si contentò di stendere il collo lungo e affusolato per alzarsi sulle punte. Come per magia, dominava l’uomo in altezza. <<La casa è nel parcheggio?>> disse ilare. Al suo cospetto, Charles rimase senza respiro. Il viso di Monika, candido e fiero, combaciava con il sole calante sulla linea del blu.

 

 

 

 

Corpo, il romanzo ispirato al film

4 commenti

Care lettrici e cari lettori, è giunto il momento di donarvi l’inizio del romanzo Corpo. Soltanto un attimo  di pazienza per spiegarvi che la fonte di ispirazione è stato il film girato la scorsa estate. I ringraziamenti nei titoli di coda del lungometraggio sono davvero tantissimi, per cui rinvio al precedente post con frammenti del set https://stefanosantachiara2.wordpress.com/2020/01/31/corpo-il-nostro-film-sara-proiettato-nelluniversita-del-connecticut/ .
Per quanto riguarda il libro una menzione speciale merita Costantino Vassallo, architetto e scrittore con la passione per il cinema, autore dell’interessante saggio Drive e le strutture distopiche. E’ stato Vassallo a suggerirmi l’idea, al termine della riprese di Corpo, di creare il romanzo. Forse perché, sfogliandolo, vi inerpicherete nei meandri mitologici del Parco Archeologico Paestum e nei misteri di centri medievali, lungo i sentieri di luce fra la verde montagna e l’iridescenza marina, laddove le relazioni umane disvelano l’interiore profondità, fra l’incanto e gli abissi. O forse perché i dettagli realistici della narrazione traggono linfa da luoghi, sguardi e punti di osservazione, ma anche dagli stati d’animo e dagli interscambi fioriti in modo spontaneo durante i ciak tra attori di teatro e tecnici del nord e del sud. Segnalo in particolare i giovani talenti campani Francesco Guida, co-regista, responsabile del montaggio, già vincitore del festival internazionale di Salerno vent’anni orsono; l’assistente tecnico Enrico Nicoletta e il compositore delle musiche Antonio Sessa. Gli attori e tutti gli altri componenti del cast e della troupe li conosceremo via via che andremo svelando anticipazioni della storia, rigorosamente piccole e iniziali. Non solo perché contrari allo spoiler in genere, ma per il fatto che il film Corpo non sarà visibile al pubblico ancora per molti mesi: parteciperà ai festival del cinema, che richiedono l’inedito, e sarà proiettato all’università del Connecticut nell’ambito delle lezioni di Monica Martinelli, insegnante di Italiano, Letteratura e Storia del Cinema.

Anche il romanzo è autoprodotto e indipendente, si trova solo su Amazon che non apprezzo per lo sfruttamento nei confronti dei lavoratori ma non avevo alternativa: nessuna casa editrice ha scommesso su Corpo malgrado il successo del mio saggio d’esordio http://www.chiarelettere.it/libro/principio-attivo/i-panni-sporchi-della-sinistra-9788861904279.php

Pazienza, so che facendo questa ammissione perderò l’interesse di chi sceglie in base all’importanza dell’editore mentre alcuni lettori affezionati ai libri d’inchiesta (grazie sempre a Chiarelettere, che sfortunatamente non si occupa di narrativa) non seguiranno questo cambiamento di genere. Non c’è problema, Corpo, sia il film che il romanzo, sono una nuova avventura!

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CORPO

I.

Camminava in un meriggio di primavera nel mezzo di una selva oscura, con lo sguardo rivolto all’insù. I raggi solari giocavano a nascondino tra le crine di querce millenarie creando un nobile intarsio sul cielo, a tratti le rischiaravano i capelli color nocciola. Il suo anello a forma di girasole splendeva sul dito mignolo, la luminosità pungente l’induceva a sbattere gli occhi azzurri e a formare sulla bocca un sorriso singolare, sapido e sfrontato.
Camminava sul sentiero parallelo all’unica strada asfaltata che taglia la macchia verde e intanto s’inebriava, la brezza spirava dal golfo mescolandosi agli odori degli aghi di pino e delle resine. Avanzava sicura, sostenuta da piedi piatti stretti nelle scarpe nere da ginnastica e da gambe lunghe e toniche come fusti di piante. Indugiò solamente su un albero che si distingueva per robustezza e altitudine: radicato sul terreno ricco di minerali, profondo e ben drenato, si adattava al gelo e all’estate più calda, alle tempeste e alla siccità. I rami in fiore erano puntati verso l’empireo, eternamente gioiosi. La sua fervida fantasia faceva sì che le mani di quel portento più antico della Magna Grecia pian piano iniziassero a muoversi al modo di Pinocchio ma, a differenza del burattino di Geppetto, esse beneficiassero della facoltà di animali magici: uccelli policromi con le branchie. E così le dita lignee levitavano leggiadre, si libravano con le traiettorie ardite di un albatros, roteavano sul crinale dipingendo orbite ellittiche, fendevano l’atmosfera rarefatta della cima sfiorando le divine nubi, e poi planavano giù fra le cascate e i ruscelli accelerando come le rapide del fiume. Nel mare si divertivano a rasentare l’acqua come il vento che l’increspa prima della burrasca e, alfine, svanivano nel blu infinito senza lasciare traccia.
Così si sentiva Monika, una ragazza di ventuno anni cresciuta in fretta, sgusciata da un passato che le aveva impedito di spiccare il volo. Nella nuova vita, spinta da una sconfinata sete di conoscenza, si era elevata come un albero animato, durante il rigoglioso sviluppo aveva potato i rami secchi dell’ordinario per assaporare i bagliori cangianti del particolare, anche il più apparentemente insignificante. Da allora camminava pure su fondamenta ispide e scivolose. Il piglio determinato e la postura, ritta e imperiosa, indicavano un’ambizione visionaria, tuttavia immune da superbia e cupidigia, dacché era stata capace di rimuovere i sentimenti negativi per custodire gelosamente il côté più esclusivo: la purezza del suo universo interiore.

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Camminava anche quel giorno al ritmo dell’auricolare mentre calpestava per diletto le foglie sul sentiero, quasi a segnare un punto in un moderno videogame importato dall’America. Lo zaino bordeaux, un ricordo di Parigi, le ciondolava sul dorso come se una delicata percussione carezzasse la melodia di Le chic et le charme di Paolo Conte. Monika sceglieva le musiche non in base all’umore ma allo stato d’animo verso il quale sentiva di tendere, erano il preludio e così amava gustare ogni nota, ogni strofa, ogni silenzio. Ugualmente si acconciava la mattina. Se la salopette di jeans, che lasciava scoperte le bianche spalle e metà coscia era funzionale alla scarpinata, la lunghissima e rigorosa treccia sembrava un simbolo epico. Non un archetipo matriarcale o qualche teoria che gli intellettuali potessero confinare in un bolso dibattito sul significato politico e psicologico del look, neppure un’esaltazione estetica delle forme giunoniche sulle quali si accomodava senza malizia. Viceversa, quel serpente che aveva per capelli suggeriva un rapporto di simbiosi con la natura. Ad esempio, nel corso della passeggiata la sua coda si allontanò dal corpo per ficcarsi in un cespuglio: Monika aveva lanciato un bastone nella boscaglia e la treccia, per effetto del movimento, si era avvinta con vigore ad un rametto spinoso. Non c’era verso di staccarla, sicché la ragazza si fece largo con premura nell’arbusto, abitato da tanti piccoli esseri che svolazzavano fra le foglioline ovali. Avvertì un profumo intenso, seguendone la scia scoprì una pianta di rosa nascosta in mezzo ai rovi. V’era un unico bocciolo, in procinto di schiudersi. Invisibile agli animali, quel fiore si presentava di un rosa sì vivo da commuovere.
<<Amazement>> sospirò ammaliata nella lingua che per prima aveva imparato in Unione sovietica, studiando clandestinamente testi occidentali. Le capitava non di rado che qualcuno o qualcosa, d’incanto, la riportasse all’essenza. Il momento era sublime quanto sfuggente, benché non fosse in grado di decodificarne il senso, l’accoglieva con letizia ascendente. Proprio come un’artista con la sua opera, arrivava a immedesimarsi nell’oggetto, in un attimo la cui relatività temporale soggiace alle leggi della creatività. Ora Monika sarebbe stata quella rosa per tutte le volte che avrebbe desiderato in futuro, un turgido bocciolo che è sempre sul punto di svelarsi, adornato di minuscole gocce di rugiada, vezzeggiato da buffe coccinelle, baciato da frizzanti api, corazzato di spine necessarie, forse utili a tener distanti gli spiriti maligni, forse letali per cuori vulnerabili. Monika chiuse gli occhi e si tuffò con la totalità del viso nella fragranza, abbandonandosi fra i morbidi petali con estrema delicatezza, come calzasse una seconda pelle di raso rosa. L’armonia indicibile le stava procurando piacere cerebrale, purtroppo venne infranta dal rombo di una vettura in lontananza. La ragazza si ridestò: <<E’ l’occasione propizia per tornare all’ostello prima del crepuscolo>>. Lesta, si riversò sul ciglio della strada ed esibì il pollice. L’auto, una jeep nera di fabbricazione giapponese, accostò.
Il conducente era un signore bruno con la capigliatura folta e una barba bislunga che lo faceva somigliare a Rasputin, il mistico consigliere degli zar Romanov, e mal si conciliava con la giacca e la cravatta. A suggellare lo stile pittoresco contribuivano un paio di mocassini marron, un vistoso orologio e una grossa catena al collo di oro finto. Ad ogni buon conto quell’uomo aveva un’aria familiare, le ricordava uno zio delle steppe siberiane, una persona rude e goffa che si spingeva in città soltanto a Natale portando un sacco di doni e di cibi genuini. Molto religioso senza dubbio, ma digiuno dei riti ortodossi che ammorbavano i fanciulli delle famiglie agiate come la sua, con la dacia, il vasto giardino e accanto una chiesa sfarzosa, il luogo più congruo per l’anima esigente che pasce con la parola del pastore. No, quell’uomo era intriso di una spiritualità anarchica, incolto e balordo finché si vuole ma ricco di generosità contadina, prodigo di consigli pratici per i più giovani. <<Grazie>> esordì briosa Monika sedendosi. Lo <<zio>> aggrottò le folte sopracciglia, i suoi occhi erano privi della bonomia agreste e non cessavano di squadrarla da capo a piedi. Dell’idea che si era fatta permaneva in lui solo un primordiale istinto di lotta per la sussistenza, che trasfigurava la giovane in mercanzia o, piuttosto, in mucca nella stalla. Quando Monika fu costretta ad avanzare leggermente per sistemare lo zaino sul sedile posteriore, l’uomo pose viscidamente lo sguardo sul primo bottone slacciato del vestito. <<Dove scei diretta?>> chiese con un marcato accento bolognese che cancellò definitivamente l’immagine del vecchio zio. Monika sottolineava il distacco mantenendo le braccia conserte, rispose senza guardarlo e, in virtù di un lampo di diffidenza, senza riferirsi al giaciglio notturno: <<All’università>>.
<<Che brava. E cosa fate a quest’ora, un party?… Io sono Giacomo, ma tu puoi chiamarmi Jack>>.

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Malgrado il nome comune e la perfetta pronuncia di Monika, Giacomo sfoggiò una certa perspicacia: <<Allora Monny, che si dice al Nord? Perché non sembri italiana>>.
<<No>>.
L’uomo non si curava delle repliche monosillabiche, era convinto di poter aggirare con facilità le altrui resistenze e tradiva pure una venatura razzista: <<Comunque vieni dall’Est Europa, io non sbaglio mai su queste cose… E dai, durante il viaggio dovremo fare due chiacchiere. Sai, io sono molto conosciuto in paese… Sei appena arrivata?>>. Neanche il cenno di diniego lo persuase a moderare quella specie di interrogatorio: <<E che ci fai qui?>>. Monika era stufa di venire esaminata e oggettificata da un tale che non aveva alcun interesse nei confronti della sua persona.
Le riaffiorarono i tornei di scacchi in Unione sovietica. Adorava i giochi di strategia, anche se le sue grandi passioni erano il nuoto, l’equitazione e il tiro con l’arco, ma alcuni scacchisti erano insopportabili. Avrebbe preferito interagire con individui, se non proprio interessanti, almeno garbati. Quando andava bene si annoiava a morte, nella peggiore delle situazioni le sedevano dirimpetto anziani bavosi o volgari rampolli, cui avrebbe voluto stampare in fronte un alfiere in alabastro. In tal caso moltiplicava l’impegno per conquistare presto la vittoria, conscia di doversi sciroppare lagnose scempiaggini maschiliste, una serie di giustificazioni patetiche che l’uomo forniva dopo essere stato sconfitto da una ragazza, tediose quanto i comizi di partito e le parate militari. Stavolta però Monny non poteva darsela a gambe. Era imprigionata nell’auto di quello <<zio>> per un viaggio che non sarebbe terminato prima di un’ora. Decise dunque di trasmettere l’irritazione scandendo: <<Stu-dio all’uni-ver-si-tà>>.
Arrocco inutile. <<Cosa di bello?>>.
<<Lingue e Letterature straniere>>.
Cominciava ad allarmarsi. Giacomo infatti alternava espressioni banali da corteggiatore petulante a occhiate oblique tipiche di un delinquente. Aveva come l’impressione che nella tasca della giacca color beige, da un momento all’altro, potesse estrarre un coltello. Mentre lei si annebbiava in quei grigi pensieri, l’uomo, grattandosi la barba, domandò: <<Chi ti mantiene?>>.
<<Nessuno>> rispose con raccapriccio.
<<Eh, ne ho viste tante di giovani come te>> continuò lui, nient’affatto scoraggiato. Anzi pareva stimolato, come se non stesse aspettando che una ragazza bella e indipendente per sfogare le proprie frustrazioni. O peggio.
<<C’è chi vuole diventare interprete, chi sogna il cinema… Ma dove finiscono? Le vedi in fila dal regista per un provino e per un invito a cena, disposte a tutto… E poi te le ritrovi a fare le sguattere>>.
Sì, il capro espiatorio femminile non rappresentava una gran novità. Se non sono mogli e madri, alle donne si addicono i ruoli di meretrice e di addetta alle pulizie. Monika batteva il piede per il nervoso: <<Chi non ha bisogno di qualcosa?>>.
<<Io mi sono organizzato bene, e non dipendo da nessuno. Gli affari sono il mio pane, ne fiuto uno anche a mille miglia>>.
<<E ne trova di tarfufi?>>.
Sorpreso dall’ironia della passeggera, Giacomo si fece più scuro. <<Sei simpatica, ma il mondo non va avanti a battute>>.
<<Solo col denaro giusto?>>.
<<Se hai problemi economici non preoccuparti. A tutto c’è una soluzione… Qualora avessi bisogno di assistenza… >> seguitò mettendo la mano all’interno della giacca. Non ne uscì un’arma ma un biglietto da visita di agente finanziario.

Corpo, il nostro film indipendente negli States Sarà proiettato all’università del Connecticut

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Corpo, la sceneggiatura, il film… e presto arriverà il romanzo
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Una bellissima esperienza che ha visto crescere insieme professionisti e giovani provenienti da settori diversi. Il film indipendente diretto da Francesco Guida e dal sottoscritto è stato girato l’estate scorsa nelle zone fra Paestum, Agropoli e Castellabate. La sceneggiatura di Corpo era stata buttata giù mesi prima, currenti calamo, e non è stato necessario organizzare casting particolari. Fortunatamente si sono costituiti due gruppi di attori, soprattutto giovani ma con l’apporto di alcuni esperti, uno campano e uno emiliano: Paolo Agresta di San Marco di Castellabate, già veterano interprete di teatro, la nuova scoperta Luigi Pascale, attore della compagnia teatrale Eduardo De Filippo, Lucio Russo, fotografo ferrarese che ha avuto piccoli ruoli nelle fiction Coliandro 6, Gomorra 4, Il Caso Pantani e L’alligatore; Miriam Treglia e Agnese Negrelli, giovani allieve di Sandra Moretti, insegnante del liceo Pico e fondatrice della compagnia Fata Morgana di Mirandola. In occasione della lettura drammatizzata della mia commedia Lou Salomé adattata dalla stessa Sandra nell’aprile 2019, le sue migliori allieve si distinsero ricevendo il plauso generale di professori, assessori comunali e spettatori: in seguito pertanto Agnese Negrelli e Miriam Treglia sono state preparate da Sandra Moretti  per recitare nel film Corpo, assieme ai più consumati attori e ai coetanei Gerardo Bove e Luigi Tramutola, al carpigiano Stefano Stradi e altri attori di Castellabate quali Costabile Scarano, Anna Aversano, Luigi Tramutola, Assunta Della Mura, Deborah Guercio, Martina Pinto, Sarah Di Luccio, Fatima Sarnicola e tanti altri che leggerete nei titoli di coda.  Si ringraziano per la partecipazione straordinaria anche Lucio Isabella, poeta e artigiano del Cilento, le suore della comunità Santa Scolastica, la famiglia Malzone per la location sul belvedere e la famiglia Vassallo per gli studi di Costantino, che ha incentrato la sua prolusione di presentazione del film, alla fiera dei libri del sud, sul concetto di Corpo come prigione in Proust. Anche a livello tecnico la sinergia è stata importante: Francesco Guida era il mio assistente alla regia, ma di fatto è il co-regista, ha curato tutti i montaggi in studio ed ha supportato le riprese accanto ai cameraman Lazzaro Addesso e Antonia Agresta; Enrico Nicoletta ha fornito ulteriore competenza tecnica e per quanto riguarda le musiche il compositore Antonio Sessa ha realizzato la colonna sonora e tutti i sottofondi esclusivamente per Corpo.
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Com’è andata? Presto per dirlo, non abbiamo la possibilità di distribuire la pellicola nelle sale ma siamo iscritti a festival del cinema che Francesco Guida ben conosce, essendo statopremiato  già vent’anni orsono come miglior regia e montaggio al Festival Internazionale di Salerno (qui in foto con Claudia Koll durante la consegna del primo premio).
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Inoltre, se in occasione della prima proiezione privata, a Castellabate, espresse apprezzamento l’unico ospite esterno, il prof. Gennaro Malzone, fondatore della Fiera dei Libri del Sud, nella seconda proiezione a casa dei genitori di Agnese (nella foto sottostante) è stata invitata un’insegnante di Cinema e Letteratura italiana negli Stati Uniti, la pdh Monica Martinelli. Alla serata “nordica” erano presenti tutti i componenti del cast e della troupe tranne gli amici del Cilento, impossibilitati per la distanza ma collegati in diretta tramite mezzi telematici per vivere assieme emozioni e commenti. Le azioni e i dialoghi più avvincenti non hanno riguardato solo i due protagonisti maschile e femminile, laddove l’interpretazione di Miriam Treglia è stata mirabile, ad esempio la sintonia registrata fra Agnese Negrelli e Luigi Pascale ha stupito tutti per professionalità e passione. L’intreccio degli avvenimenti ha evidenziato le differenze caratteriali e anche dialettali dei personaggi del film, come lo scaltro emiliano Lucio Russo e il melodrammatico “napoletano” Paolo Agresta, mentre Gerardo Bove, in forza dei propri studi delle lingue slave, ha esibito un ottimo accento russo. Costabile Scarano, già in Benvenuti al Sud, è stato accreditato della battuta più divertente, ma è stata tutta la squadra a partecipare con gioia e intensità. Al liceo Alfonso Gatto di Agropoli le studentesse in autogestione, supportate dalla professoressa Antonella Lauretti e dal dirigente Saverio Prota, hanno dato vita a una scena coinvolgente assieme alle attrici protagoniste, così come il Parco Archeologico di Paestum è stato teatro di momenti particolarmente suggestivi. Le cornici paesaggistiche delle scogliere e di una montagna incontaminata che si affaccia sul mare cristallino non sono da meno dei significati storici e simbolici dei paesi attraversati. Alla fine l’insegnante di Cinema e Letteratura italiana in America, Monica Martinelli, è rimasta colpita favorevolmente dal nostro film e ha già proposto di far proiettare Corpo (dopo i festival, nel prossimo semestre) durante le lezioni che tiene all’università del Connecticut, come “spunto educativo per le tematiche trattate”: Gender studies e altro, ma non vorrei “spoilerare”!
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Il film Corpo:

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scuolapaesemareanello

tempio

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