Stasera per la prima volta, su Dailymotion, ho guardato OcchioPinocchio, il film che la critica, i giornali, i produttori, insomma il sistema legato a doppio filo con la politica, ha usato a pretesto per estromettere Francesco Nuti, un genio che il pubblico adora e che lorsignori, molti di essi obtorto collo, avevano apprezzato, premiato, celebrato negli anni Ottanta e nei primi Novanta. L’ho visto per la prima volta, ed è singolare se penso che i film di Nuti hanno accompagnato la mia crescita, come un appuntamento fisso, imperdibile, di risate e di tenerezza: certo da piccolo riconobbi i telai della maglieria e mi divertivo con le giocate di biliardo in Madonna che silenzio c’è stasera e in Io, Chiara e lo Scuro ma non potevo cogliere le tante sfumature, così come le liriche profondità di Tutta colpa del paradiso, e anche da adolescente sfuggivano i significati intrinseci di Caruso Pascoski di padre polacco, Willy signori e vengo da lontano, Donne con le gonne e gli altri. Forse ho perduto OcchioPinocchio perché non lo hanno dato subito l’anno seguente in tv (cosa che accadeva per i grandi successi al botteghino) o forse semplicemente perché all’epoca cominciavo ad applicare alla mia esistenza proprio la curiosità vorace insita in quei film: i “perché” riecheggiavano sulle prime relazioni sentimentali, sui primi articoli da giornalista in una particolare realtà di paese, il distretto di Carpi e quello di Prato sono noti per il settore tessile abbigliamento. Anche Francesco Nuti da ragazzo viveva quel momento di curiosità e attesa, nel film mi rimase impresso il consiglio ricevuto da un personaggio naif: “O vinci al Totocalcio, o sposti una chiesa o vai in Perù”. A 19 anni (rispose in un’intervista) aveva scritto la sua canzone più simpatica e oggi famosa, ‘Puppe a pera’, immaginando la donna che sarebbe arrivata. Anche ‘Sarà per te’ , canzone poetica portata più tardi al festival di Sanremo, era una carezza futura.

Ma torniamo al 1994, a OcchioPinocchio, un film spartiacque per Nuti, da quel momento estromesso dagli spazi pubblici del cinema e della televisione. In nessun paese civile per la libera arte, la libera poesia, la libera cultura, sarebbe mai potuto accadere. Vediamolo allora, mi son detto, questo film stroncato all’unanimità dal sistema. Un importante critico, Paolo Mereghetti, scrisse addirittura “film mostruoso”. Se anche fosse stato inguardabile, in ogni caso, non sarebbe mai stato giustificabile il conseguente isolamento di Francesco Nuti. Forse Nanni Moretti non ha mai sbagliato un film? Certo che sì: nessuno si permetterebbe di cancellarlo.

OcchioPinocchio: premesso che non sono un critico e parlo da spettatore, trovo la storia bella e originale, ben studiata e interpretata, forse poco approfondita in alcuni aspetti ma – come si suol dire – avercene, nel panorama odierno poi. Un banchiere miliardario è vittima di un pessimo tiro del fratello, il quale gli rivela post mortem, alla lettura del testamento, l’esistenza di suo figlio, Pinocchio, e di averglielo tenuto nascosto fino ai quarant’anni in una casa di assistenza. Se Una poltrona per due, con la scommessa dei Duke sull’inversione delle vite del manager e del mendicante di colore per dimostrare l’influenza superiore della genetica o dell’ambiente, era una critica ridanciana ai razzisti di Wall Street, l’inizio di OcchioPinocchio fotografa meglio, e in modo più realistico, la condizione avida e cinica del capitalismo finanziario, non priva tuttavia di alcune fragilità umane derivanti dalla paternità. L’interpretazione di Francesco Nuti nei panni di un uomo “con ritardo nella crescita”, ad una prima impressione, è meno eccellente di Dustin Hoffman in Rain man, poiché Pinocchio oscilla tra momenti di estrema ingenuità, di emulazione o ripetizione a pappagallo, ad altri in cui sveste quel “ritardo” per ritornare il Nuti dallo sguardo profondo e dalla battuta folgorante. Se usciamo dallo stereotipo del soggetto con problemi psichici per immaginare una dimensione di luci e ombre, appunto realistica, l’alternanza degli stati diventa un valore aggiunto, spiegabile nel finale in cui Pinocchio svela qualità intellettive impreviste. La scena in cui Francesco Nuti si presenta in pubblico ai quadri dirigenti dell’impero finanziario del padre è beffardamente geniale: notando la differenza con l’ambiente in cui era stato per quarant’anni, dove aiutava persone anziane e povere, Pinocchio si complimenta con il parterre de rois per i vestiti puliti e le dentiere (altra nota personale che mi accompagna nel gioire della grazia di Nuti: pochi anni dopo il film scelsi, come obiettore al servizio militare, di prestare servizio civile presso la struttura protetta comunale per anziani di Carpi). II leitmotiv della giacca da restituire e del bacio per sfuggire all’arresto con Lucy, la ragazza incontrata per caso e sospettata di un omicidio, possono sembrare escamotage logori, ma acquisiscono un senso nel prosieguo della storia. Molto azzeccato anche il ritmo delle scene nella prima parte, eccellente la presentazione di Pinocchio con alternanza fra brevi monologhi di ospiti della casa di assistenza che illuminano la narrazione, musiche adatte e immagini suggestive dall’alto (il mix è un classico dei film di Nuti: in Caruso Paskoski era esilarante l’alternanza di pazienti pittoreschi e ossessivi, musiche ritmate ed espressioni facciali del dottore; piccola digressione per ricordare come Nuti sia stato una sorgente inesauribile di genialità, se il suo essere malin-comico è inimitabile, gli sketch dei Giancattivi e le stramberie paesane avviate da Madonna che silenzio c’è stasera sono stati moltiplicati negli anni a seguire dagli altri comici soprattutto toscani; la storia dell’amore tormentato di Caruso e Giulia, che si allontana per frequentare uno dei pazienti di Caruso ma poi lo ridesidera, sarà imitata da tanti: penso a film banali con lui-Giallini che psicanalizza l’altro-Gassman e alla dinamica della sofferenza di Troisi e del ritorno di Neri nel comunque ottimo Pensavo fosse amore invece era un calesse). Esilarante la scena del ristorante (il livello a mio avviso è quello sublime dell’impacciato Caruso che deve entrare di nascosto nella toilette delle donne per gli incontri clandestini con Giulia-Clarissa Burt, che nella vita è stata un amore grande per Francesco Nuti) nella quale Pinocchio chiede di poter finire la minestra del vicino di tavolo come faceva nella struttura protetta o semplicemente come si usa in famiglia, non meno originale della simulazione dell’orgasmo in Harry ti presento Sally o dei dialoghi fuori contesto di comparse nei film di Allen e Troisi. Le citazioni da Collodi non mancano, dal grillo prima di salire in elicottero alla balena, il capannone dove Lucy e Pinocchio fanno l’amore, fino alla surreale città-giostra, un paese dei balocchi dal sapore felliniano. Scene ben dirette quella nella centrale della polizia, dove il commissario, con la battuta “sono stati visti baciarsi”, chiude il crescendo d’ira del miliardario che praticamente comanda gli agenti di polizia, e la parte del road movie, anche se il genere non è la mia cup of tea: comunque breve e necessaria per il fluire degli avvenimenti e per creare l’affinità con la fuggitiva. Avrei desiderato vedere più scene di Pinocchio nell’ambiente dei miliardari per sviscenarne oltremodo le contraddizioni, il rischio di scadere nei luoghi comuni e nel facile applauso non sarebbe stato corso: Nuti è un creativo genuino e avrebbe reso ogni passaggio in modo orig-eniale. Non so quali siano i venti o più minuti tagliati da una produzione che, a quanto si legge, è stata molto travagliata: addirittura Francesco ha dovuto pagare di tasca propria per portare a termine il film. Non sono aspetti secondari, quando si valuta un lavoro bisogna tener conto delle risorse, del tempo a disposizione, delle lealtà delle collaborazioni. A me comunque la storia è piaciuta molto e il finale aperto, un coupe de theatre come da griffe dell’autore, valorizza ancor più i temi sociali, i momenti divertenti e di riflessione, l’approccio giusto – privo di preconcetti – nell’interpretazione del soggetto con ritardo nella crescita. Pinocchio non è un pezzo di legno che vuole entrare nella società contemporanea come nella fiaba di Collodi ma un eterno fanciullo, ingenuo ma dotato di intelligenza sensibile, capace di fingere una regressione psichica pur di restare fuori dalla peggior dimensione capitalistica, opulenta e artificiale, e di restare così com’è: altruista e ribelle. Il “perché” ribelle con cui Pinocchio risponde all’agente che ordina a lui e a Lucy di andarsene, ripetuto due volte, è il filo conduttore dei film di Francesco e della sua spontaneità genuina, sul set come nella vita e durante le rare interviste. “Perché” è l’espressione primigenia che impariamo da piccoli, è la volontà di sapere e di capire, resta in tutti coloro che mantengono la curiosità in ogni mestiere e ambito dell’esistenza: il perché delle dinamiche del lavoro, il perché dell’ingiustizia, il perché dell’amico, il perché dell’innamorato, il perché fanciullesco della meraviglia.

Resta il perchè, dopo questo film, a Francesco Nuti non sia stato più consentito di lavorare come prima. Per la precisione da quel momento in poi nessuno ha più prodotto una pellicola di Nuti, che è tornato alla regia soltanto nel 1998 con Medusa ma solo per la distribuzione (rende bene l’idea del ‘carabiniere buono’, compare del cattivo, che finge di aiutare, l’immagine di Francesco ospitato quell’anno da Maurizio Costanzo, il paludato Giuliano Ferrara dei salotti televisivi, affiancato da una scollacciata attrice de partito e punzecchiato dal conduttore sulla sua passione per le donne, benchè Nuti fosse sposato dal 1992 con Anna Maria Malipiero e in attesa della adorata figlia Ginevra nata pochi mesi dopo; e nel maggio 2006 una scorretta intervista telefonica di Cruciani). Già, nessuna casa di produzione si è fatta avanti, nessuno dei tanti finti amici che in queste settimane si sperticano in lodi e si mostrano addolorati davanti alle telecamere. Francesco Nuti era perfettamente in grado di recitare, lo si evince non solo in Caruso, zero in condotta del 2001, ma anche, seppur appannato, in Concorso di colpa del 2005 (unico ruolo concessogli il vicequestore di polizia). Non posso sapere in che misura depressione e alcol, fino al grave incidente domestico del settembre 2006, lo abbiano rovinato, quello che è assolutamente falso è il concetto fatto passare implicitamente dai media nazionali (è caduto per “vanità”, “fragilità”, “perdita del successo”, “troppa curiosità”) di una “autodistruzione inevitabile”. Fortunatamente a Prato molti lo conoscevano, gli volevano bene e hanno buona memoria. Nuti avrebbe potuto ancora dirigere, anche nelle difficilissime condizioni degli ultimi 17 anni, ha scritto nuove storie (Olga e i fratellastri Billi e I due casellanti) sempre con la collaborazione del fratello Giovanni, medico, compositore delle musiche di tutti i suoi film, grazie al quale ha dato alle stampe l’autobiografia Sono un bravo ragazzo. Andata, caduta e ritorno per tipi Rizzoli (perché la casa editrice non fa una ristampa?), ma nessuno gli ha dato spazio. Un capitolo è intitolato ‘Maledetto ai Parioli’, famoso quartiere della Roma radical chic. Non bisogna essere scienziati della psiche per capire che una richiesta di aiuto, quella più volte lanciata in appelli anche pubblici dal 2001 al 2006, non va ignorata come è avvenuto. Conosco personalmente la dinamica: se tu, artista o giornalista indipendente senza le mani in pasta, senza capi nè protettori, dunque necessariamente in cerca di produttori del tuo lavoro, non scrivi quello che pretendono, non ti fai portatore di talune congetture, allora non trovi più spazio. Non bisogna essere giornalisti di inchiesta per comprendere che non siamo in presenza di fatalità, piuttosto di azioni consapevoli di soggetti cattivi, scorretti e falsi tese a rovinare le vite di quelle persone libere: in questo caso sono riusciti a determinare, quantomeno a peggiorare, la depressione e l’alcolismo degli ultimi anni di Francesco Nuti, conseguenza e non causa, effetto di quella censura, di quell’isolamento continuativo. In OcchioPinocchio Francesco dice a Lucy la fuggitiva: “Se stiamo insieme, ci possiamo anche aiutare”. É un’espressione semplice, trasparente, bella come il “perchè”. La risposta la trovo nel filo sottile del Poeta Francesco Nuti attraverso i suoi film, in Tutta colpa del paradiso, ad esempio, mi commuove il sorriso finale di Alessandro alla rinuncia felice di Romeo, un sorriso di sollievo, gratitudine, stima, amicizia, solidarietà.

Francesco Nuti dice addio a Ornella Muti e a Roberto Alpi, genitori adottivi di suo figlio, in 'Tutta colpa del paradiso'

La stupenda colonna sonora: https://youtu.be/0t0Z-VY8lpQ