Romanzo ‘Il pastore e la strega’, anticipazione

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Buongiorno a tutti, ricordate l’avventura di Emanuele, fuggito dall’alienante sfruttamento lavorativo sognando la montagna? In attesa della prima nazionale del film al cinema Flamingo di Capoliveri sabato 7 ottobre, ecco la seconda anticipazione del romanzo!


… Silvio gettò l’ancora e salutò senza ricevere risposta da Ada, pure orientata verso il mare. Una folata fece svolazzare via il foulard di seta, che finì a galleggiare nell’acqua, troppo lontano dal molo per essere recuperato.

Emanuele aveva esaudito il proprio desiderio. Si trovava esattamente in cima alla montagna. Intorno a lui e ad un signore anziano pascolavano alcune capre, le cui sagome si confondevano nella nebbia di marzo, solitamente fitta a quell’altitudine. Lele fremeva dalla voglia di giocare con loro, ma era molto concentrato ad ascoltare i discorsi dell’interlocutore. Era salito fin sulla vetta, per la prima volta, alla guida di una vecchia lambretta prestatagli da un amico e aveva spalancato la bocca innanzi al panorama, rallentando ad ogni tornante per assaporare la visuale delle facciate di granito e delle rocce millenarie a forma di animali, o per esplorare visivamente i colori del bosco e del golfo. Non si curava minimamente del lavoro al capannone, né di dover giustificare in famiglia quella sua prolungata assenza. Ascoltava e annuiva, come un piccolo apprendista desideroso di imparare il segreto dell’artigiano. “Oramai sono vecchio. Non ce la faccio più a portarle qui, mi dispiacerebbe lasciarle…” gli confidò il signore, che evidentemente era l’ultimo pastore rimasto sull’isola. Emanuele ebbe un’illuminazione. Doveva essere lui a raccogliere il testimone. La nebbia che avvolgeva l’estremità del crinale ormai inghiottiva sia i due uomini sia gli animali. “Mi lasci le chiavi della stalla. Domani mattina sarò qui al suo posto”. Il signore lo sconsigliò con paterna premura: “Questa vita è dura. Non ci sono ferie né momenti di riposo. Si segue il ritmo biologico delle capre e della natura”. “Ho già deciso. Sarà la mia vita”. L’anziano pastore inumidì gli occhi e gli diede le chiavi. “Grazie, grazie mille!”. Non ottenne risposta. Il suo benefattore iniziò a incamminarsi per il sentiero perdendosi nel grigiore. Ad Emanuele non restava che sistemare le capre e salutarle per tornare in montagna l’indomani prima dell’alba. “Belle, ora ci sono io con voi”. Esse parvero dargli un benvenuto collettivo, circondandolo. “Ecco, da brave, entrate qui… Ma… che cosa…?”. Un raggio di sole era passato attraverso la nebbia, stava avvolgendo col suo nitore le capre. Saranno state almeno trenta. Gli sorridevano beate. Lele chiuse la stalla e saltò in sella alla lambretta con la gioia nel cuore. Forse non aveva mai provato un piacere così intenso, scendeva a velocità sostenuta, non senza qualche rischio, tendendo l’orecchio al grande torrente. Lungo una curva il terreno scivoloso lo fece sbandare ma lui continuò allo stesso ritmo, guardando in alto, ovvero seguendo la strada a memoria e il fruscio dell’acqua. Respirava a pieni polmoni l’atmosfera e i pensieri inconsci gli donarono due sostantivi da comporre in una sola parola: intensimmensità.

Nel frattempo Ada, allontanatasi dal molo, curiosava fra le botteghe del centro. Un po’ infreddolita per le spalle su cui soffiava la tramontana, entrò in un negozio di abbigliamento. “Buonasera, mi dica”, chiese gentilmente la titolare. Ada aveva già operato la scelta: “Quel poncho lì fuori è di cashmere?”. La proprietaria confermò e si rese disponibile a farglielo provare. Una volta indossato, Ada strinse fra le mani un lembo del maglioncino. Chissà per quale ragione, il profumo del poncho la trasferì idealmente in montagna, in quello stato di grazia avvertito alla sommità, ma questa volta con un richiamo visivo chiaro, la morbidezza del capo di abbigliamento le infondeva nel cuore una speranza, chiuse gli occhi per trasognare la delicatezza di Lele quando l’aveva sfiorata con la guancia. Alla negoziante che attendeva una risposta, Ada disse soltanto: “Lo voglio”.

Lele sentiva ancora l’adrenalina dell’incontro con il pastore e della scelta di vita compiuta di getto. Quando giunse alla foce del grande fiume buttò a terra la lambretta, levò le scarpe e corse a piedi nudi sulla spiaggia. Nel silenzio generale, cullato solo dal lento fruscio del fiume che si gettava nel mare, gli parve di scorgere, in lontananza nella nebbia, una figura antropomorfa in sella ad una motocicletta o a qualcosa di simile. Via via che si avvicinava, a passo piuttosto lento, quella sagoma assunse le sembianze di una ragazza dai capelli neri e fluenti. Non cavalcava una moto ma un bellissimo purosangue. Man mano che s’approssimava Emanuele fu rapito dal suo sguardo. Gli occhi profondi sorridevano smaglianti sotto un velo di malinconia, e restavano incollati ai suoi. Tutt’altro però uscì spontaneamente dalla sua bocca: “Che bella cavalla!”

Sofia: “Sì, è una femmina, si chiama Ruby”.

Emanuele, accarezzandola: “Bella lei”.

Sofia: “Ci sai fare coi cavalli”.

Emanuele: “No! Mai avuti. Però…”.

Sofia: “Però?”.

Emanuele: “E niente. In mezzo agli animali sto bene”.

Sofia: “Anch’o”.

Emanuele: “Devi sapere che oggi ho preso la decisione della mia vita!”.

Sofia, scendendo da cavallo. “Dai!”

Emanuele: “Sì, ho lasciato il lavoro sotto padrone dopo tanti anni e ho comperato trenta capre!”.

Sofia: “Wow!”.

Emanuele: “Le vuoi vedere?”.

Sofia: “Adesso devo rientrare al maneggio e poi mi aspettano a casa”.

Emanuele, pensando ad un rifiuto, rispose mestamente: “Ok…”

Sofia: “Domani?”.

Emanuele: “Sì, domani mattina prestissimo però! Le capre si svegliano all’alba e io voglio conoscerle tutte, una per una…”.

Sofia: “Devi anche scegliere i loro nomi?”.

Emanuele: “Sì sì li scegliamo insieme, ti va?”.

Sofia fece cenno di sì gioiosa.

Emanuele: “E tu… come ti chiami?”.

Sofia: “Sofia”.

(…) Il giallo intenso e spavaldo delle ginestre, fiorite sulle rocce del crinale, accolse a braccia aperte Ada. Erano trascorsi due mesi dalla sua prima venuta sull’isola, protrattasi per quasi una settimana nonostante le rimostranze del marito. Ora quel colore splendente al sole era il preludio dell’estate e lei sentiva un gorgogliare d’emozioni. Silvio aveva parcheggiato una Maserati presa a nolo vicino al Municipio, nel centro del paese. Mentre si recava all’edicola per acquistare un quotidiano, Ada si accorse di un laboratorio artigianale specializzato nella vendita di formaggi di capra. Lo percepì dalla scritta: “Il formaggio di Lele”.

Ada: “Scusi signorina… Lele sta per Emanuele?”.

Sofia: “Sì, perchè?”

Ada: “E’ un ragazzo che prima faceva il fabbro?”


Sofia”:”Sì… ma…”.

Ada: “No, è che… io… sono un’amica”.

Sofia tenne a freno la gelosia che tracimava. Con Lele era stato un colpo di fulmine, non aveva mai dubitato di lui in quei due mesi di fidanzamento, si era gettata fra le sue braccia come mai le era capitato nella vita. “Non sono fatta per l’amore, forse il principe azzurro non esiste. Me ne sto bene qui, fra i miei cavalli al maneggio” era solita raccontarsi mentre spazzolava un purosangue o aiutava un cucciolo a compiere i primi movimenti. Sofia era cresciuta in una piccola fattoria, da genitori contadini. Grazie ai loro sforzi aveva potuto studiare, laureandosi in scienze biologiche, e al contempo era rimasta attaccata alla natura. Con gli animali si trovava a propria agio, del resto nella fattoria i suoi allevavano mucche, maiali e galline. Da bimba si era recata da sola ai bordi del maneggio dell’isola, non molto distante, lo stalliere le permise di vedere i pony riportandola presto alla fattoria. Sofia però non si dava per vinta e ritornava alla prima occasione dai suoi nuovi amici. Già, perchè a differenza degli altri bambini, quelli delle famiglie più abbienti che potevano trascorrere giornate intere dentro al maneggio, non si limitava a guardare i pony e ad accarezzarli su invito degli adulti: Sofia parlava ai cavalli, anche a quelli più grandi, spesso sussurrava nelle loro grandi orecchie in segno di complicità. Ogni volta, quando capiva che sarebbe stata riaccompagnata a casa, si perdeva negli occhioni teneri di un cavallo per fargli una promessa. Le promesse col tempo diventarono piccole carote, braccialetti di fiorellini da lei creati con paziente talento. Con gli anni il rapporto che instaurò con i cavalli si rivelò profondo, quasi simbiotico. Durante gli studi, quando cominciò a svolgere piccole mansioni al maneggio, conobbe Ruby, la purosangue con cui stava trottando in spiaggia il giorno che incontrò Lele. Ruby appena sentiva i passi di Sofia in lontananza, nitriva felice; dopo il lavoro sul campo alzava gli arti anteriori per chiedere il premio: le carote; quando invece capiva che lei stava per andarsene, la sera, muoveva la coda e non smetteva fintantoché Sofia non tornava da lei per un ultimo tenero saluto con… promessa. Sì, Ruby percepiva le sue emozioni più recondite: “Forse”, ripensava ora Sofia, “si è innamorata lei, prima di me, di Emanuele, al primo sguardo”.

La scena del film, scelta dal Fatto Quotidiano per l’articolo dedicato alla finalissima del Near Nazareth film festival, in cui Lele (Alex Ferrini) incontra Sofia (Lara Elena Deiana) che sta cavalcando Ruby.

Il pastore e la strega al NNFest, articoli di stampa

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L’articolo del Fatto Quotidiano in edicola alcuni giorni fa

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2023/07/26/cinema-il-pastore-e-la-strega-finalista-al-festival-israeliano/7241890/

E qui l’articolo del magazine Full d’assi

https://www.fulldassi.it/il-nuovo-film-di-santachiara/

Francesco Nuti il Poeta, e i tanti perché

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Stasera per la prima volta, su Dailymotion, ho guardato OcchioPinocchio, il film che la critica, i giornali, i produttori, insomma il sistema legato a doppio filo con la politica, ha usato a pretesto per estromettere Francesco Nuti, un genio che il pubblico adora e che lorsignori, molti di essi obtorto collo, avevano apprezzato, premiato, celebrato negli anni Ottanta e nei primi Novanta. L’ho visto per la prima volta, ed è singolare se penso che i film di Nuti hanno accompagnato la mia crescita, come un appuntamento fisso, imperdibile, di risate e di tenerezza: certo da piccolo riconobbi i telai della maglieria e mi divertivo con le giocate di biliardo in Madonna che silenzio c’è stasera e in Io, Chiara e lo Scuro ma non potevo cogliere le tante sfumature, così come le liriche profondità di Tutta colpa del paradiso, e anche da adolescente sfuggivano i significati intrinseci di Caruso Pascoski di padre polacco, Willy signori e vengo da lontano, Donne con le gonne e gli altri. Forse ho perduto OcchioPinocchio perché non lo hanno dato subito l’anno seguente in tv (cosa che accadeva per i grandi successi al botteghino) o forse semplicemente perché all’epoca cominciavo ad applicare alla mia esistenza proprio la curiosità vorace insita in quei film: i “perché” riecheggiavano sulle prime relazioni sentimentali, sui primi articoli da giornalista in una particolare realtà di paese, il distretto di Carpi e quello di Prato sono noti per il settore tessile abbigliamento. Anche Francesco Nuti da ragazzo viveva quel momento di curiosità e attesa, nel film mi rimase impresso il consiglio ricevuto da un personaggio naif: “O vinci al Totocalcio, o sposti una chiesa o vai in Perù”. A 19 anni (rispose in un’intervista) aveva scritto la sua canzone più simpatica e oggi famosa, ‘Puppe a pera’, immaginando la donna che sarebbe arrivata. Anche ‘Sarà per te’ , canzone poetica portata più tardi al festival di Sanremo, era una carezza futura.

Ma torniamo al 1994, a OcchioPinocchio, un film spartiacque per Nuti, da quel momento estromesso dagli spazi pubblici del cinema e della televisione. In nessun paese civile per la libera arte, la libera poesia, la libera cultura, sarebbe mai potuto accadere. Vediamolo allora, mi son detto, questo film stroncato all’unanimità dal sistema. Un importante critico, Paolo Mereghetti, scrisse addirittura “film mostruoso”. Se anche fosse stato inguardabile, in ogni caso, non sarebbe mai stato giustificabile il conseguente isolamento di Francesco Nuti. Forse Nanni Moretti non ha mai sbagliato un film? Certo che sì: nessuno si permetterebbe di cancellarlo.

OcchioPinocchio: premesso che non sono un critico e parlo da spettatore, trovo la storia bella e originale, ben studiata e interpretata, forse poco approfondita in alcuni aspetti ma – come si suol dire – avercene, nel panorama odierno poi. Un banchiere miliardario è vittima di un pessimo tiro del fratello, il quale gli rivela post mortem, alla lettura del testamento, l’esistenza di suo figlio, Pinocchio, e di averglielo tenuto nascosto fino ai quarant’anni in una casa di assistenza. Se Una poltrona per due, con la scommessa dei Duke sull’inversione delle vite del manager e del mendicante di colore per dimostrare l’influenza superiore della genetica o dell’ambiente, era una critica ridanciana ai razzisti di Wall Street, l’inizio di OcchioPinocchio fotografa meglio, e in modo più realistico, la condizione avida e cinica del capitalismo finanziario, non priva tuttavia di alcune fragilità umane derivanti dalla paternità. L’interpretazione di Francesco Nuti nei panni di un uomo “con ritardo nella crescita”, ad una prima impressione, è meno eccellente di Dustin Hoffman in Rain man, poiché Pinocchio oscilla tra momenti di estrema ingenuità, di emulazione o ripetizione a pappagallo, ad altri in cui sveste quel “ritardo” per ritornare il Nuti dallo sguardo profondo e dalla battuta folgorante. Se usciamo dallo stereotipo del soggetto con problemi psichici per immaginare una dimensione di luci e ombre, appunto realistica, l’alternanza degli stati diventa un valore aggiunto, spiegabile nel finale in cui Pinocchio svela qualità intellettive impreviste. La scena in cui Francesco Nuti si presenta in pubblico ai quadri dirigenti dell’impero finanziario del padre è beffardamente geniale: notando la differenza con l’ambiente in cui era stato per quarant’anni, dove aiutava persone anziane e povere, Pinocchio si complimenta con il parterre de rois per i vestiti puliti e le dentiere (altra nota personale che mi accompagna nel gioire della grazia di Nuti: pochi anni dopo il film scelsi, come obiettore al servizio militare, di prestare servizio civile presso la struttura protetta comunale per anziani di Carpi). II leitmotiv della giacca da restituire e del bacio per sfuggire all’arresto con Lucy, la ragazza incontrata per caso e sospettata di un omicidio, possono sembrare escamotage logori, ma acquisiscono un senso nel prosieguo della storia. Molto azzeccato anche il ritmo delle scene nella prima parte, eccellente la presentazione di Pinocchio con alternanza fra brevi monologhi di ospiti della casa di assistenza che illuminano la narrazione, musiche adatte e immagini suggestive dall’alto (il mix è un classico dei film di Nuti: in Caruso Paskoski era esilarante l’alternanza di pazienti pittoreschi e ossessivi, musiche ritmate ed espressioni facciali del dottore; piccola digressione per ricordare come Nuti sia stato una sorgente inesauribile di genialità, se il suo essere malin-comico è inimitabile, gli sketch dei Giancattivi e le stramberie paesane avviate da Madonna che silenzio c’è stasera sono stati moltiplicati negli anni a seguire dagli altri comici soprattutto toscani; la storia dell’amore tormentato di Caruso e Giulia, che si allontana per frequentare uno dei pazienti di Caruso ma poi lo ridesidera, sarà imitata da tanti: penso a film banali con lui-Giallini che psicanalizza l’altro-Gassman e alla dinamica della sofferenza di Troisi e del ritorno di Neri nel comunque ottimo Pensavo fosse amore invece era un calesse). Esilarante la scena del ristorante (il livello a mio avviso è quello sublime dell’impacciato Caruso che deve entrare di nascosto nella toilette delle donne per gli incontri clandestini con Giulia-Clarissa Burt, che nella vita è stata un amore grande per Francesco Nuti) nella quale Pinocchio chiede di poter finire la minestra del vicino di tavolo come faceva nella struttura protetta o semplicemente come si usa in famiglia, non meno originale della simulazione dell’orgasmo in Harry ti presento Sally o dei dialoghi fuori contesto di comparse nei film di Allen e Troisi. Le citazioni da Collodi non mancano, dal grillo prima di salire in elicottero alla balena, il capannone dove Lucy e Pinocchio fanno l’amore, fino alla surreale città-giostra, un paese dei balocchi dal sapore felliniano. Scene ben dirette quella nella centrale della polizia, dove il commissario, con la battuta “sono stati visti baciarsi”, chiude il crescendo d’ira del miliardario che praticamente comanda gli agenti di polizia, e la parte del road movie, anche se il genere non è la mia cup of tea: comunque breve e necessaria per il fluire degli avvenimenti e per creare l’affinità con la fuggitiva. Avrei desiderato vedere più scene di Pinocchio nell’ambiente dei miliardari per sviscenarne oltremodo le contraddizioni, il rischio di scadere nei luoghi comuni e nel facile applauso non sarebbe stato corso: Nuti è un creativo genuino e avrebbe reso ogni passaggio in modo orig-eniale. Non so quali siano i venti o più minuti tagliati da una produzione che, a quanto si legge, è stata molto travagliata: addirittura Francesco ha dovuto pagare di tasca propria per portare a termine il film. Non sono aspetti secondari, quando si valuta un lavoro bisogna tener conto delle risorse, del tempo a disposizione, delle lealtà delle collaborazioni. A me comunque la storia è piaciuta molto e il finale aperto, un coupe de theatre come da griffe dell’autore, valorizza ancor più i temi sociali, i momenti divertenti e di riflessione, l’approccio giusto – privo di preconcetti – nell’interpretazione del soggetto con ritardo nella crescita. Pinocchio non è un pezzo di legno che vuole entrare nella società contemporanea come nella fiaba di Collodi ma un eterno fanciullo, ingenuo ma dotato di intelligenza sensibile, capace di fingere una regressione psichica pur di restare fuori dalla peggior dimensione capitalistica, opulenta e artificiale, e di restare così com’è: altruista e ribelle. Il “perché” ribelle con cui Pinocchio risponde all’agente che ordina a lui e a Lucy di andarsene, ripetuto due volte, è il filo conduttore dei film di Francesco e della sua spontaneità genuina, sul set come nella vita e durante le rare interviste. “Perché” è l’espressione primigenia che impariamo da piccoli, è la volontà di sapere e di capire, resta in tutti coloro che mantengono la curiosità in ogni mestiere e ambito dell’esistenza: il perché delle dinamiche del lavoro, il perché dell’ingiustizia, il perché dell’amico, il perché dell’innamorato, il perché fanciullesco della meraviglia.

Resta il perchè, dopo questo film, a Francesco Nuti non sia stato più consentito di lavorare come prima. Per la precisione da quel momento in poi nessuno ha più prodotto una pellicola di Nuti, che è tornato alla regia soltanto nel 1998 con Medusa ma solo per la distribuzione (rende bene l’idea del ‘carabiniere buono’, compare del cattivo, che finge di aiutare, l’immagine di Francesco ospitato quell’anno da Maurizio Costanzo, il paludato Giuliano Ferrara dei salotti televisivi, affiancato da una scollacciata attrice de partito e punzecchiato dal conduttore sulla sua passione per le donne, benchè Nuti fosse sposato dal 1992 con Anna Maria Malipiero e in attesa della adorata figlia Ginevra nata pochi mesi dopo; e nel maggio 2006 una scorretta intervista telefonica di Cruciani). Già, nessuna casa di produzione si è fatta avanti, nessuno dei tanti finti amici che in queste settimane si sperticano in lodi e si mostrano addolorati davanti alle telecamere. Francesco Nuti era perfettamente in grado di recitare, lo si evince non solo in Caruso, zero in condotta del 2001, ma anche, seppur appannato, in Concorso di colpa del 2005 (unico ruolo concessogli il vicequestore di polizia). Non posso sapere in che misura depressione e alcol, fino al grave incidente domestico del settembre 2006, lo abbiano rovinato, quello che è assolutamente falso è il concetto fatto passare implicitamente dai media nazionali (è caduto per “vanità”, “fragilità”, “perdita del successo”, “troppa curiosità”) di una “autodistruzione inevitabile”. Fortunatamente a Prato molti lo conoscevano, gli volevano bene e hanno buona memoria. Nuti avrebbe potuto ancora dirigere, anche nelle difficilissime condizioni degli ultimi 17 anni, ha scritto nuove storie (Olga e i fratellastri Billi e I due casellanti) sempre con la collaborazione del fratello Giovanni, medico, compositore delle musiche di tutti i suoi film, grazie al quale ha dato alle stampe l’autobiografia Sono un bravo ragazzo. Andata, caduta e ritorno per tipi Rizzoli (perché la casa editrice non fa una ristampa?), ma nessuno gli ha dato spazio. Un capitolo è intitolato ‘Maledetto ai Parioli’, famoso quartiere della Roma radical chic. Non bisogna essere scienziati della psiche per capire che una richiesta di aiuto, quella più volte lanciata in appelli anche pubblici dal 2001 al 2006, non va ignorata come è avvenuto. Conosco personalmente la dinamica: se tu, artista o giornalista indipendente senza le mani in pasta, senza capi nè protettori, dunque necessariamente in cerca di produttori del tuo lavoro, non scrivi quello che pretendono, non ti fai portatore di talune congetture, allora non trovi più spazio. Non bisogna essere giornalisti di inchiesta per comprendere che non siamo in presenza di fatalità, piuttosto di azioni consapevoli di soggetti cattivi, scorretti e falsi tese a rovinare le vite di quelle persone libere: in questo caso sono riusciti a determinare, quantomeno a peggiorare, la depressione e l’alcolismo degli ultimi anni di Francesco Nuti, conseguenza e non causa, effetto di quella censura, di quell’isolamento continuativo. In OcchioPinocchio Francesco dice a Lucy la fuggitiva: “Se stiamo insieme, ci possiamo anche aiutare”. É un’espressione semplice, trasparente, bella come il “perchè”. La risposta la trovo nel filo sottile del Poeta Francesco Nuti attraverso i suoi film, in Tutta colpa del paradiso, ad esempio, mi commuove il sorriso finale di Alessandro alla rinuncia felice di Romeo, un sorriso di sollievo, gratitudine, stima, amicizia, solidarietà.

Francesco Nuti dice addio a Ornella Muti e a Roberto Alpi, genitori adottivi di suo figlio, in 'Tutta colpa del paradiso'

La stupenda colonna sonora: https://youtu.be/0t0Z-VY8lpQ

Near Nazareth film festival: bellissima finale!

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Per noi del film ‘Il pastore e la strega’ è stata davvero una splendida esperienza partecipare, seppure da lontano, alla finale del Near Nazareth film festival nella sezione lungometraggi. E’ stato un momento di incontro sociale fra filmaker provenienti da culture diverse e di studio dei lavori cinematografici realizzati in 13 paesi, dall’India alla Spagna (due film), dalla Colombia all’Ungheria, dalla Cina alla Francia, dalla Germania agli Stati Uniti, dal Perù alla Repubblica Ceca, dalla Finlandia alla Russia, che con ben tre pellicole arricchisce il legame con questo importante festival di Israele: https://nnfest21.wixsite.com/website-1/feature-screenplay
Il vincitore è stato il film ‘The Doctor’ di Artyom Temnikov, congratulazioni! E come ricorda il certificato donato dai responsabili del festival di Nazareth, “gratitudine per la cooperazione e il rafforzamento dell’amicizia e della compresione tra le nazioni”

Uscirà in autunno, assieme al film, il romanzo ‘Il pastore e la strega’: stasera un’anteprima

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Capitolo III

Nel capannone degli attrezzi del fabbro una decina di persone stava discutendo animatamente. Il progetto di Silvio avrebbe dato lavoro nel periodo dell’anno in cui sull’isola manca la risorsa del turismo. Tuttavia alcuni, senza sospettare minimamente dello smaltimento illecito dei rifiuti, già avevano notato le pesanti ripercussioni ambientali del progetto di cementificazione. “Avanti, spostiamo i camion che dobbiamo ricevere i materiali entro sera”. Uno dei lavoratori più giovani non partecipava alla discussione, stava battendo col martello sul ferro con costante impegno. Il titolare dell’azienda, Duillio, gli si avvicinò con aria torva. “Sei ancora a metà? Più svelto Emanuele, più svelto”. Il ragazzo non rispose, proseguendo in modo leggermente più veloce. Faccia pulita, capelli corti e sempre ordinati, occhi scuri, fisico atletico e altezza oltre la media anche se passava un terzo della giornata piegato a lavorare.

Lele: “Ma avevi detto che potevo staccare prima oggi… “.

Duillio: “Se prima non finisci te lo scordi”.

Lele:“Mia cugina compie gli anni… “.

Duilio: “E mia zia li ha fatti il mese scorso, allora? Se non finisci entro mezzanotte ti licenzio, intesi?”

Il padrone uscì sbattendo la porta, due operai lo seguirono chiedendogli lumi sui materiali in arrivo. Emanuele rallentò il ritmo, pian piano progressivamente fino a fermarsi. Gettò il martello sul bancone da lavoro. “Pimpulupampulupalimpampù”. La filastrocca che gorgheggiava da piccolo, quando giocava fra gli animali della fattoria di famiglia, gli echeggiava immaginifica. Dalla vetrata alta del grigio capannone, fra le assi di ferro e le lamiere, l’olio e la polvere, sognava la montagna: le capre felici che si rincorrono fra i rigogliosi alberi ricchi di foglie e di profumi, sostenuti da una terra fortemente mineralizzata, luccicante nelle facciate di granito riflesse dal sole. Non vi era mai salito, lassù a mille metri di altezza. Forse perché era cresciuto in una famiglia molto povera di contadini, dove nessuno poteva permettersi il lusso di un’automobile né di perdere tempo in una escursione d’alta quota. Invero Lele era un bimbetto molto attivo, instancabile, che amava immergersi nella natura ad ogni occasione. Aveva cominciato a lavorare molto presto, ma neppure le lunghissime giornate nei campi a raccogliere l’uva e le olive avevano fiaccato la sua voglia. La sera, mentre genitori e zii, dopo una frugale cena al tramonto, si ritiravano nelle stanze, lui usciva al chiarore delle stelle. “Amavo contarle, ma erano così tante da perdere sempre il conto. Assegnavo a ciascuna un nome”. Con l’arrivo della bella stagione correva a perdifiato sulla prima collina, sovente cadeva o si rotolava volutamente per poi stendersi col naso all’insù, non di rado restava accoccolato nell’erba fino al sopraggiungere di Morfeo. Quelle dormite erano meravigliose, dense di sogni e di profumi. All’alba poi, rischiando di rincasare tardi e di prendersi una sonora sgridata, nelle giornate più calde, si tuffava nel grande fiume che sorgeva in montagna.

Anche adesso Lele avrebbe desiderato farlo. Sentiva l’unto sul viso, la polvere sotto la maglia della salute, era abituato a conviverci, come fosse una seconda pelle, parimenti il ferro battuto era la colonna sonora del film della sua esistenza professionale. Ma l’abitudine e la necessità nulla possono all’erompere dell’inconscio. Emanuele bramava di correre sulla montagna per fare ciò che in venticinque anni non aveva mai fatto: vedere il mare dall’alto, scoprire la sorgente di quel flusso d’acqua fresca delle sue aurore di libertà, attendere assieme il crepuscolo in attesa dello splendore galattico: il mare sotto, il fiume accanto, le stelle sopra. Di animali ne aveva incontrati diversi, soprattutto gli asini abbondavano fra gli agricoltori. Quei musi lunghi dal passo lento gli erano sempre stati simpatici. Non perché trasportassero il granito, le damigiane di vino e gli altri prodotti, ma per la loro intelligenza, dai più disconosciuta ma ben presente ai lavoratori della terra. Se un asino è stremato, per le dure fatiche o per il caldo eccessivo, non c’è ordine o scudisciata che possano convincerlo a riprendere il cammino. Aveva scoperto molto tardi, e in rare occasioni, le pecore e le capre, di cui aveva sentito tanto parlare. Era ghiotto del loro latte, che aveva sempre assunto in quantità smisurata da quando la madre aveva finito di allattarlo. Il liquido genuino e fresco era un toccasana per tutti gli abitanti, ma il numero dei pastori si era andato riducendo nel corso degli anni. Gli ultimi che ancora praticavano l’allevamento sull’isola non transitavano quasi mai per la zona della fattoria e del capannone dove si trovava adesso Emanuele. Quando capitava però che l’anziano pastore scendesse dalla montagna con l’asino e il cane, il ragazzo non mancava mai. In città i suoi coetanei avevano interessi più convenzionali, durante le cerimonie ufficiali facevano a gara per conquistarsi un posto in prima fila al passaggio dei campioni dello sport o per i soldati col pennacchio. Lui invece riusciva a percepire l’arrivo dell’allevatore e lasciava la zappa, incurante dei rimproveri dei cugini più grandi, per corrergli incontro. Dopo un saluto caloroso che riempiva d’orgoglio il pastore, l’attenzione di Lele si concentrava praticamente solo sulle pecore e sulle capre. I loro sguardi teneri e puri erano fonte di curiosità e allegria, ci si specchiava arrivando a sfiorare le loro testoline senza alcun timore. Seguiva poi le paffute amiche nei movimenti, chiedendosi quali erbe preferissero brucare e scatenando la propria immaginazione sulle relazioni sociali fra di esse. Sarebbe rimasto ad accarezzarle per ore, affondando le mani nella loro lana morbida e accogliente.

Emanuele, ripensandoci adesso, volava con la fantasia. Gli parve di sentire il calore delle coccole, i loro belati, e guardando fuori dall’alta vetrata del capannone vivificava le nuvole, disegnandole con la mente come arruffate caprette. Quando l’energumeno che stava all’interno, una sorta di addetto alla sicurezza dell’azienda, se ne uscì a fumare nel cortile, lui corse verso l’ufficio del titolare. Duilio era uscito per depositare alcuni documenti fiscali. Lele salì in piedi sulla scrivania per raggiungere una finestrella. Scivolò maldestramente su alcune fatture disseminate sul tavolo, dando una gran botta al ginocchio. Ma il dolore passò in un baleno, il tempo di contemplare lo spicchio di montagna sul cielo dell’isola. Con un salto degno d’un atleta olimpico si aggrappò al pertugio, trascinandosi lentamente ci si infilò con il capo. Malgrado fosse smilzo ci entrava appena, pertanto dovette spingere strofinandosi contro i lembi della finestra. La scelta era assolutamente irrazionale. Sarebbe potuto andare in montagna alla sera, dopo l’orario di lavoro, oppure, se il suo intento fosse stato quello di fuggire per sempre dal capannone, sarebbe bastato non ripresentarsi l’indomani. “Sicuramente avrei dato un dolore alla mia famiglia, ma il signor Duilio, che mi minacciava non di rado di licenziamento, non avrebbe fatto tante storie. Certo, mi avrebbe decurtato tutto il de… rubabile, ma mi avrebbe rimpiazzato senza problemi”. Allora perché quella fuga diurna? Davvero era così importante passare in pasticceria per comperare la torta di vino, pinoli e uvetta per la cugina? No, forse Emanuele aveva concepito in quel preciso istante ciò che desiderava realmente nel suo avvenire. “Pimpulupampulupalimpampù” disse volando fuori dalla finestra per atterrare sull’asfalfo.

Alex Ferrini, che nel film interpreta Emanuele il pastore

Il pastore e la strega, le date dei cinema aggiornate

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Ecco l’elenco dei cinema che proietteranno Il pastore e la strega al 9 maggio 2023:

Cinema Nello Santi di Portoferraio: venerdì 6 ottobre

Cinema teatro Flamingo di Capoliveri, sabato 7 ottobre

Possibili repliche il fine settimana seguente

Cinema teatro Metropolitan di Piombino, lunedì 23 e martedì 24 ottobre

Cinema Castello di Fabbrico, giovedì 2 novembre e martedì 7 novembre

Cinema Moderno di Piacenza, venerdì 3 novembre e venerdì 10 novembre

Cinema Filmstudio 7B di Modena, martedì 7 novembre e mercoledì 8 novembre

Cinema La Perla di Bologna, venerdì 10 novembre, sabato 11 novembre, domenica 12 novembre

Cinema multisala Novecento di Cavriago, martedì 14 novembre e mercoledì 15 novembre

Cinema teatro Lux di Quistello, giovedì 16 novembre

Cinema multisala Eliseo di Cesena, giovedì 23 novembre

Cinema teatro Facchini di Medolla, venerdì 24 novembre

Cinema II Nuovo di Castelfranco Emilia lunedì 27 novembre

Cinema Zambelli di Boretto, giovedì 30 novembre

Cinema Lux di Fontanaluccia, venerdì 8 dicembre, sabato 9 dicembre, domenica 10 dicembre

Altri cinema che proietteranno il film:

Cinema Sarti Faenza e cinema Mariani Ravenna

Cinema Eden Carpi

Cinema Mignon Mantova

Cinema Grand’Italia Traversetolo

Tour laziale: Cinema Filmstudio di Roma gennaio

Tour veneto: Cinema Robegano di Venezia e Cinema Esperia di Padova febbraio

Grazie a tutti, buona continuazione!





Lou Salomè, l’audio-video della scena I

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Una vita ricca di incontri e scoperte, viaggi nei principali centri culturali e nella più profonda interiorità. Lou Salomè (1861-1937) attraversa due secoli sublimando ragione e istinto,filosofia e arte, narrazione e psicoanalisi. Spirito libero e acuta studiosa, respira affinità cerebrali peculiari e rapporti ardentemente delicati, laddove il senso di sorellanza non refrena le passioni tormentose degli innamorati, ricambiate solo in rari casi, come quello del poeta Rainer Maria Rilke, di 15 anni più giovane. Una selettività naturale che non le sottrae la preziosa amicizia di intellettuali e avventuriere impegnate nella lotta per i diritti delle donne, da Malwida von Meysenbug a Frieda von Bulow, e l’invisibile filo che la lega alla madre Louise Wilm. Il percorso esistenziale di Salomé si intreccia a quello dei massimi pensatori di fine Ottocento e inizio Novecento, dimensioni illuminate dal genio e dalla meraviglia in un vortice di emozioni e di crescita che spicca il volo a Roma con l’amor fati di Friedrich Nietzsche e si libra gioiosamente nel cuore del vecchio continente. Al culmine di traiettorie ardite soggiunge alla scienza di Sigmund Freud, spingendo sempre oltre l’iridescente curiosità.

Due anni fa scrissi un libro biografico, una commedia sulla vita di Lou Salomè, il nostro progetto di realizzare il film ora si arricchisce: grazie alla collaborazione degli attori Paolo Massaria e Claudia Blandino, e al montaggio di Francesco Guida, abbiamo realizzato l’audio-video della scena I.

Studio di Sigmund Freud, novembre 1912.

Qui trovate il romanzo biografico in forma di commedia:

Corpo, ben accolti il trailer e il romanzo

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Il trailer di Corpo confezionato dal grande co-regista Francesco Guida! A spettatori e televisioni interessate a trasmettere il film ricordiamo che bisognerà attendere alcuni mesi poiché il lungometraggio è iscritto a festival del cinema, che potrebbero saltare vista l’emergenza Covid, ed è stato selezionato all’università del Connecticut dalla prof. di Cinema e Letteratura italiana Monica Martinelli come spunto educativo per le tematiche trattate che sussumono nei gender studies.

Nel trailer scorrono le immagini di alcuni degli interpreti: giovani talenti della compagnia teatrale Fatamorgana di Sandra Moretti, Miriam Treglia e Agnese Negrelli, l’attore di cinema Lucio Russo, il regista stesso, gli attori di teatro Luigi Pascale, Gerardo Bove, Paolo Agresta, nuove promesse come Anna Aversano e Luigi Tramutola, ma non dimentichiamo chi non compare, ossia i bravi Deborah Guercio e Stefano Stradi, le gag divertenti di Costabile Scarano, già in Benvenuti al sud, e naturalmente il compositore di tutte  le musiche del film, Antonio Sessa della Snapbeat.

Ne approfitto per ringraziare i tanti che ci hanno inviato pareri sul trailer e sul romanzo, ricchi di spunti e di indicazioni utili, anche per la preparazione di un sequel. Sui social alcuni lettori hanno pubblicato con post fotografici la copia di Corpo appena ricevuta dal corriere di Amazon, oppure una parte dell’ebook che li ha particolarmente colpiti. Prossimamente farò una raccolta delle migliori opinioni a cui dedicherò sul blog uno spazio personalizzato!

Naturalmente le sequenze del trailer suscitano curiosità senza lasciar trasparire la trama, sono volutamente disordinate, rapidissime e ritmate affinché tutti possano beneficiare pienamente dell’avventura e dei rapporti fra i personaggi. Anche il romanzo non è etichettabile in un genere definito, secondo il magazine Tempo si tratta di una storia psicologica e thriller, un inno alla libertà che vi farà inerpicare “nei meandri mitologici di Paestum e nei misteri di centri medievali, lungo i sentieri di luce fra la verde montagna e l’iridescenza marina, laddove le relazioni umane disvelano l’interiore profondità, fra l’incanto e gli abissi”.

 

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Vi lascio un piccolo frammento

… La macchina procedeva piano come la musica classica della cassetta nell’autoradio. Tutti e due l’ascoltavano immersi nei pensieri più disparati. La strada, salendo, compiva il periplo del rilievo più alto. <<Quello è il Castello del Frate>> spiegò Charles senza approfondire la genesi toponomastica del borgo. <<Tra il castello e il campanile c’è la mia casa>>. Era il suo buen retiro, quivi aveva scelto di trasferirsi anni addietro ma non si era mai appassionato alla disputa storica e religiosa che divide le grazie d’altura da quelle marine. Di lassù, ormai prossimi alla villa, scendendo con gli occhi potevano ammirare un <<colle interamente verde>>, prima base greca via via miracolosamente scampata alle devastazioni di guerra e ora alla cementificazione del Belpaese; il porto e le pinete, i faraglioni e le grotte marine oltre le quali aleggia il mito di una sirena dell’Odissea. Mentre l’uomo era intento a sistemare l’auto nel parcheggio Monika ruotò verso il mare, espanse il sorriso come una farfalla sugli alberi in fiore che si stagliavano sul panorama. L’impulso era di correre sull’orlo del burrone per tuffare lo sguardo nell’infinito, ma si contentò di stendere il collo lungo e affusolato per alzarsi sulle punte. Come per magia, dominava l’uomo in altezza. <<La casa è nel parcheggio?>> disse ilare. Al suo cospetto, Charles rimase senza respiro. Il viso di Monika, candido e fiero, combaciava con il sole calante sulla linea del blu.

 

 

 

 

Corpo, il nostro film indipendente negli States Sarà proiettato all’università del Connecticut

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Corpo, la sceneggiatura, il film… e presto arriverà il romanzo
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Una bellissima esperienza che ha visto crescere insieme professionisti e giovani provenienti da settori diversi. Il film indipendente diretto da Francesco Guida e dal sottoscritto è stato girato l’estate scorsa nelle zone fra Paestum, Agropoli e Castellabate. La sceneggiatura di Corpo era stata buttata giù mesi prima, currenti calamo, e non è stato necessario organizzare casting particolari. Fortunatamente si sono costituiti due gruppi di attori, soprattutto giovani ma con l’apporto di alcuni esperti, uno campano e uno emiliano: Paolo Agresta di San Marco di Castellabate, già veterano interprete di teatro, la nuova scoperta Luigi Pascale, attore della compagnia teatrale Eduardo De Filippo, Lucio Russo, fotografo ferrarese che ha avuto piccoli ruoli nelle fiction Coliandro 6, Gomorra 4, Il Caso Pantani e L’alligatore; Miriam Treglia e Agnese Negrelli, giovani allieve di Sandra Moretti, insegnante del liceo Pico e fondatrice della compagnia Fata Morgana di Mirandola. In occasione della lettura drammatizzata della mia commedia Lou Salomé adattata dalla stessa Sandra nell’aprile 2019, le sue migliori allieve si distinsero ricevendo il plauso generale di professori, assessori comunali e spettatori: in seguito pertanto Agnese Negrelli e Miriam Treglia sono state preparate da Sandra Moretti  per recitare nel film Corpo, assieme ai più consumati attori e ai coetanei Gerardo Bove e Luigi Tramutola, al carpigiano Stefano Stradi e altri attori di Castellabate quali Costabile Scarano, Anna Aversano, Luigi Tramutola, Assunta Della Mura, Deborah Guercio, Martina Pinto, Sarah Di Luccio, Fatima Sarnicola e tanti altri che leggerete nei titoli di coda.  Si ringraziano per la partecipazione straordinaria anche Lucio Isabella, poeta e artigiano del Cilento, le suore della comunità Santa Scolastica, la famiglia Malzone per la location sul belvedere e la famiglia Vassallo per gli studi di Costantino, che ha incentrato la sua prolusione di presentazione del film, alla fiera dei libri del sud, sul concetto di Corpo come prigione in Proust. Anche a livello tecnico la sinergia è stata importante: Francesco Guida era il mio assistente alla regia, ma di fatto è il co-regista, ha curato tutti i montaggi in studio ed ha supportato le riprese accanto ai cameraman Lazzaro Addesso e Antonia Agresta; Enrico Nicoletta ha fornito ulteriore competenza tecnica e per quanto riguarda le musiche il compositore Antonio Sessa ha realizzato la colonna sonora e tutti i sottofondi esclusivamente per Corpo.
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Com’è andata? Presto per dirlo, non abbiamo la possibilità di distribuire la pellicola nelle sale ma siamo iscritti a festival del cinema che Francesco Guida ben conosce, essendo statopremiato  già vent’anni orsono come miglior regia e montaggio al Festival Internazionale di Salerno (qui in foto con Claudia Koll durante la consegna del primo premio).
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Inoltre, se in occasione della prima proiezione privata, a Castellabate, espresse apprezzamento l’unico ospite esterno, il prof. Gennaro Malzone, fondatore della Fiera dei Libri del Sud, nella seconda proiezione a casa dei genitori di Agnese (nella foto sottostante) è stata invitata un’insegnante di Cinema e Letteratura italiana negli Stati Uniti, la pdh Monica Martinelli. Alla serata “nordica” erano presenti tutti i componenti del cast e della troupe tranne gli amici del Cilento, impossibilitati per la distanza ma collegati in diretta tramite mezzi telematici per vivere assieme emozioni e commenti. Le azioni e i dialoghi più avvincenti non hanno riguardato solo i due protagonisti maschile e femminile, laddove l’interpretazione di Miriam Treglia è stata mirabile, ad esempio la sintonia registrata fra Agnese Negrelli e Luigi Pascale ha stupito tutti per professionalità e passione. L’intreccio degli avvenimenti ha evidenziato le differenze caratteriali e anche dialettali dei personaggi del film, come lo scaltro emiliano Lucio Russo e il melodrammatico “napoletano” Paolo Agresta, mentre Gerardo Bove, in forza dei propri studi delle lingue slave, ha esibito un ottimo accento russo. Costabile Scarano, già in Benvenuti al Sud, è stato accreditato della battuta più divertente, ma è stata tutta la squadra a partecipare con gioia e intensità. Al liceo Alfonso Gatto di Agropoli le studentesse in autogestione, supportate dalla professoressa Antonella Lauretti e dal dirigente Saverio Prota, hanno dato vita a una scena coinvolgente assieme alle attrici protagoniste, così come il Parco Archeologico di Paestum è stato teatro di momenti particolarmente suggestivi. Le cornici paesaggistiche delle scogliere e di una montagna incontaminata che si affaccia sul mare cristallino non sono da meno dei significati storici e simbolici dei paesi attraversati. Alla fine l’insegnante di Cinema e Letteratura italiana in America, Monica Martinelli, è rimasta colpita favorevolmente dal nostro film e ha già proposto di far proiettare Corpo (dopo i festival, nel prossimo semestre) durante le lezioni che tiene all’università del Connecticut, come “spunto educativo per le tematiche trattate”: Gender studies e altro, ma non vorrei “spoilerare”!
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Il film Corpo:

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