Buongiorno a tutti, ricordate l’avventura di Emanuele, fuggito dall’alienante sfruttamento lavorativo sognando la montagna? In attesa della prima nazionale del film al cinema Flamingo di Capoliveri sabato 7 ottobre, ecco la seconda anticipazione del romanzo!


… Silvio gettò l’ancora e salutò senza ricevere risposta da Ada, pure orientata verso il mare. Una folata fece svolazzare via il foulard di seta, che finì a galleggiare nell’acqua, troppo lontano dal molo per essere recuperato.

Emanuele aveva esaudito il proprio desiderio. Si trovava esattamente in cima alla montagna. Intorno a lui e ad un signore anziano pascolavano alcune capre, le cui sagome si confondevano nella nebbia di marzo, solitamente fitta a quell’altitudine. Lele fremeva dalla voglia di giocare con loro, ma era molto concentrato ad ascoltare i discorsi dell’interlocutore. Era salito fin sulla vetta, per la prima volta, alla guida di una vecchia lambretta prestatagli da un amico e aveva spalancato la bocca innanzi al panorama, rallentando ad ogni tornante per assaporare la visuale delle facciate di granito e delle rocce millenarie a forma di animali, o per esplorare visivamente i colori del bosco e del golfo. Non si curava minimamente del lavoro al capannone, né di dover giustificare in famiglia quella sua prolungata assenza. Ascoltava e annuiva, come un piccolo apprendista desideroso di imparare il segreto dell’artigiano. “Oramai sono vecchio. Non ce la faccio più a portarle qui, mi dispiacerebbe lasciarle…” gli confidò il signore, che evidentemente era l’ultimo pastore rimasto sull’isola. Emanuele ebbe un’illuminazione. Doveva essere lui a raccogliere il testimone. La nebbia che avvolgeva l’estremità del crinale ormai inghiottiva sia i due uomini sia gli animali. “Mi lasci le chiavi della stalla. Domani mattina sarò qui al suo posto”. Il signore lo sconsigliò con paterna premura: “Questa vita è dura. Non ci sono ferie né momenti di riposo. Si segue il ritmo biologico delle capre e della natura”. “Ho già deciso. Sarà la mia vita”. L’anziano pastore inumidì gli occhi e gli diede le chiavi. “Grazie, grazie mille!”. Non ottenne risposta. Il suo benefattore iniziò a incamminarsi per il sentiero perdendosi nel grigiore. Ad Emanuele non restava che sistemare le capre e salutarle per tornare in montagna l’indomani prima dell’alba. “Belle, ora ci sono io con voi”. Esse parvero dargli un benvenuto collettivo, circondandolo. “Ecco, da brave, entrate qui… Ma… che cosa…?”. Un raggio di sole era passato attraverso la nebbia, stava avvolgendo col suo nitore le capre. Saranno state almeno trenta. Gli sorridevano beate. Lele chiuse la stalla e saltò in sella alla lambretta con la gioia nel cuore. Forse non aveva mai provato un piacere così intenso, scendeva a velocità sostenuta, non senza qualche rischio, tendendo l’orecchio al grande torrente. Lungo una curva il terreno scivoloso lo fece sbandare ma lui continuò allo stesso ritmo, guardando in alto, ovvero seguendo la strada a memoria e il fruscio dell’acqua. Respirava a pieni polmoni l’atmosfera e i pensieri inconsci gli donarono due sostantivi da comporre in una sola parola: intensimmensità.

Nel frattempo Ada, allontanatasi dal molo, curiosava fra le botteghe del centro. Un po’ infreddolita per le spalle su cui soffiava la tramontana, entrò in un negozio di abbigliamento. “Buonasera, mi dica”, chiese gentilmente la titolare. Ada aveva già operato la scelta: “Quel poncho lì fuori è di cashmere?”. La proprietaria confermò e si rese disponibile a farglielo provare. Una volta indossato, Ada strinse fra le mani un lembo del maglioncino. Chissà per quale ragione, il profumo del poncho la trasferì idealmente in montagna, in quello stato di grazia avvertito alla sommità, ma questa volta con un richiamo visivo chiaro, la morbidezza del capo di abbigliamento le infondeva nel cuore una speranza, chiuse gli occhi per trasognare la delicatezza di Lele quando l’aveva sfiorata con la guancia. Alla negoziante che attendeva una risposta, Ada disse soltanto: “Lo voglio”.

Lele sentiva ancora l’adrenalina dell’incontro con il pastore e della scelta di vita compiuta di getto. Quando giunse alla foce del grande fiume buttò a terra la lambretta, levò le scarpe e corse a piedi nudi sulla spiaggia. Nel silenzio generale, cullato solo dal lento fruscio del fiume che si gettava nel mare, gli parve di scorgere, in lontananza nella nebbia, una figura antropomorfa in sella ad una motocicletta o a qualcosa di simile. Via via che si avvicinava, a passo piuttosto lento, quella sagoma assunse le sembianze di una ragazza dai capelli neri e fluenti. Non cavalcava una moto ma un bellissimo purosangue. Man mano che s’approssimava Emanuele fu rapito dal suo sguardo. Gli occhi profondi sorridevano smaglianti sotto un velo di malinconia, e restavano incollati ai suoi. Tutt’altro però uscì spontaneamente dalla sua bocca: “Che bella cavalla!”

Sofia: “Sì, è una femmina, si chiama Ruby”.

Emanuele, accarezzandola: “Bella lei”.

Sofia: “Ci sai fare coi cavalli”.

Emanuele: “No! Mai avuti. Però…”.

Sofia: “Però?”.

Emanuele: “E niente. In mezzo agli animali sto bene”.

Sofia: “Anch’o”.

Emanuele: “Devi sapere che oggi ho preso la decisione della mia vita!”.

Sofia, scendendo da cavallo. “Dai!”

Emanuele: “Sì, ho lasciato il lavoro sotto padrone dopo tanti anni e ho comperato trenta capre!”.

Sofia: “Wow!”.

Emanuele: “Le vuoi vedere?”.

Sofia: “Adesso devo rientrare al maneggio e poi mi aspettano a casa”.

Emanuele, pensando ad un rifiuto, rispose mestamente: “Ok…”

Sofia: “Domani?”.

Emanuele: “Sì, domani mattina prestissimo però! Le capre si svegliano all’alba e io voglio conoscerle tutte, una per una…”.

Sofia: “Devi anche scegliere i loro nomi?”.

Emanuele: “Sì sì li scegliamo insieme, ti va?”.

Sofia fece cenno di sì gioiosa.

Emanuele: “E tu… come ti chiami?”.

Sofia: “Sofia”.

(…) Il giallo intenso e spavaldo delle ginestre, fiorite sulle rocce del crinale, accolse a braccia aperte Ada. Erano trascorsi due mesi dalla sua prima venuta sull’isola, protrattasi per quasi una settimana nonostante le rimostranze del marito. Ora quel colore splendente al sole era il preludio dell’estate e lei sentiva un gorgogliare d’emozioni. Silvio aveva parcheggiato una Maserati presa a nolo vicino al Municipio, nel centro del paese. Mentre si recava all’edicola per acquistare un quotidiano, Ada si accorse di un laboratorio artigianale specializzato nella vendita di formaggi di capra. Lo percepì dalla scritta: “Il formaggio di Lele”.

Ada: “Scusi signorina… Lele sta per Emanuele?”.

Sofia: “Sì, perchè?”

Ada: “E’ un ragazzo che prima faceva il fabbro?”


Sofia”:”Sì… ma…”.

Ada: “No, è che… io… sono un’amica”.

Sofia tenne a freno la gelosia che tracimava. Con Lele era stato un colpo di fulmine, non aveva mai dubitato di lui in quei due mesi di fidanzamento, si era gettata fra le sue braccia come mai le era capitato nella vita. “Non sono fatta per l’amore, forse il principe azzurro non esiste. Me ne sto bene qui, fra i miei cavalli al maneggio” era solita raccontarsi mentre spazzolava un purosangue o aiutava un cucciolo a compiere i primi movimenti. Sofia era cresciuta in una piccola fattoria, da genitori contadini. Grazie ai loro sforzi aveva potuto studiare, laureandosi in scienze biologiche, e al contempo era rimasta attaccata alla natura. Con gli animali si trovava a propria agio, del resto nella fattoria i suoi allevavano mucche, maiali e galline. Da bimba si era recata da sola ai bordi del maneggio dell’isola, non molto distante, lo stalliere le permise di vedere i pony riportandola presto alla fattoria. Sofia però non si dava per vinta e ritornava alla prima occasione dai suoi nuovi amici. Già, perchè a differenza degli altri bambini, quelli delle famiglie più abbienti che potevano trascorrere giornate intere dentro al maneggio, non si limitava a guardare i pony e ad accarezzarli su invito degli adulti: Sofia parlava ai cavalli, anche a quelli più grandi, spesso sussurrava nelle loro grandi orecchie in segno di complicità. Ogni volta, quando capiva che sarebbe stata riaccompagnata a casa, si perdeva negli occhioni teneri di un cavallo per fargli una promessa. Le promesse col tempo diventarono piccole carote, braccialetti di fiorellini da lei creati con paziente talento. Con gli anni il rapporto che instaurò con i cavalli si rivelò profondo, quasi simbiotico. Durante gli studi, quando cominciò a svolgere piccole mansioni al maneggio, conobbe Ruby, la purosangue con cui stava trottando in spiaggia il giorno che incontrò Lele. Ruby appena sentiva i passi di Sofia in lontananza, nitriva felice; dopo il lavoro sul campo alzava gli arti anteriori per chiedere il premio: le carote; quando invece capiva che lei stava per andarsene, la sera, muoveva la coda e non smetteva fintantoché Sofia non tornava da lei per un ultimo tenero saluto con… promessa. Sì, Ruby percepiva le sue emozioni più recondite: “Forse”, ripensava ora Sofia, “si è innamorata lei, prima di me, di Emanuele, al primo sguardo”.

La scena del film, scelta dal Fatto Quotidiano per l’articolo dedicato alla finalissima del Near Nazareth film festival, in cui Lele (Alex Ferrini) incontra Sofia (Lara Elena Deiana) che sta cavalcando Ruby.