La questione femminile resta un nodo irrisolto nella sinistra italiana. Le ragioni che andremo a sviscerare sono molteplici e complesse ma il dato storico ineludibile è che dopo la stagione delle conquiste sociali e civili non si è realizzato un processo di concreto avvicinamento alla parità di genere nella società e nella politica. Gli stessi eredi del Pci sembrano aver smarrito gran parte di quell’impegno per le donne che ha visto intrecciarsi almeno tre generazioni nei grandi fermenti politico – culturali del Novecento, dal ruolo decisivo delle partigiane nella Resistenza e nell’assemblea costituente ai movimenti femministi, ecologisti e pacificisti.
Sin dalla nascita il Partito Democratico ha introdotto regole che garantiscono un incremento della presenza rosa, ultima delle quali il doppio voto alle primarie del 2012. Le parlamentari della XVII legislatura hanno dunque raggiunto la percentuale del 37,9%. Tuttavia l’applicazione di principi come meritocrazia e pari opportunità, enunciati sovente con ridondante ipocrisia, mal si concilia con la logica delle quote rosa e viene annichilita dal meccanismo che consente al Sistema la vera cooptazione: la legge elettorale meglio nota come Porcellum che ha eliminato il voto di preferenza e affidato al vertice dei partiti la scelta dei candidati da mandare in Parlamento. Naturalmente la selezione delle classi dirigenti non penalizza solo donne ma anche uomini meritevoli. Il Potere in genere, nel settore privato e in quello della pubblica amministrazione, favorisce o al contrario ostacola in modo sofisticato i percorsi personali secondo precisi schemi che rispondono alla propria convenienza, sia essa il mantenimento dello status quo o un riformismo gattopardico. Premesso ciò, resta il fatto che nessuna esponente politica della sinistra italiana ha mai avuto un ruolo apicale come invece avviene regolarmente da anni nel mondo. Nel 2006 le ministre dei Ds nel governo Prodi erano soltanto 3: la dalemiana Livia Turco alla Salute, la veltroniana Giovanna Melandri a Sport e politiche giovanili, l’ex occhettiana Barbara Pollastrini alle Pari opportunità. Nell’esecutivo di Enrico Letta sono rimaste tre dopo le dimissioni dal ministero dello Sport di Josefa Idem in seguito alla scoperta di irregolarità fiscali: dell’area collocabile grossomodo a sinistra troviamo il ministro degli Esteri Emma Bonino , all’Integrazione il medico oculista Cecyle Kyenge e all’Istruzione Maria Chiara Carrozza, ex rettore della scuola Sant’Anna di Pisa dove molti anni prima conseguì il dottorato di ricerca (Diritto delle comunità europee) il giovane Letta.
Per restare solo in Europa il premier della Danimarca è la socialdemocratica Helle Thorning-Schmidt, in Islanda è Johanna Sigurdardottir, lesbica dichiarata; in Finlandia è stata presidente della Repubblica dal 2000 al 2012 Tarja Kaarina Halonen mentre Mari Kiviniemi era a capo di un governo con 12 donne ministri su 20; in Irlanda negli anni ’90 si sono succedute le presidenti Mary McAleese e Mary Robinson. In Francia non è stata una sorpresa quella di Sègolène Royal, nel 2007 candidata del Psf all’Eliseo contro il vincente Nicolas Sarkozy. Infatti sedici anni prima la socialista Edith Cresson, già ministro dell’Agricoltura e del Commercio estero, fu nominata primo ministro dal presidente della Repubblica François Mitterrand. Nella tradizionalista Spagna il governo Zapatero del 2008 era composto in maggioranza da donne, anche in ministeri chiave: Economia e Finanze per la vicepresidente Elena Salgado Méndez, Sviluppo a Magdalena Álvarez Arza, Scienza e Innovazione a Cristina Garmendia Mendizábal, Sanità e in seguito Esteri per Trinidad Jiménez García-Herrera. Il dicastero dell’Economia è rosa anche in Danimarca, Austria, Finlandia e Lituania. In Inghilterra il sottosegretario all’Europa Caroline Flint si dimise nel 2009 accusando l’allora premier laburista Gordon Brown:”Parecchie che formano il governo, me inclusa, sono state da te trattate come poco più che donne-vetrina. Non voglio più far parte del governo con una responsabilità solo marginale”. Il gesto sarebbe impensabile in Italia, dove pure le ministre sono relegate a ruoli di seconda o terza fascia. Resta esclusivamente maschile, oltre alla presidenza del Consiglio, il motore decisivo per la politica industriale: il ministero dell’Economia. La differenza con le altre democrazie occidentali si conferma notevole all’europarlamento: nel 2009 l’Italia risulta ventiquattresima sui 27 Paesi Ue per rappresentanza femminile a Bruxelles con 17 elette su un totale di 72. E pensare che è stata proprio un’italiana, Lara Comi del Pdl, ad ottenere il riconoscimento del Mep Awards 2012 come migliore deputata nel settore del mercato interno e della protezione dei consumatori. Nel Belpaese su venti Regioni esistono due sole governatrici, in Umbria Catiuscia Marini e in Friuli Venezia Giulia Deborah Serracchiani , la giovane candidata che alle Europee era stata in grado di battere in preferenze Berlusconi senza poi trovare spazio a livello nazionale. Le donne sindaco sono soltanto 884 su 8mila Comuni e un terzo delle giunte non ha neppure un assessore del gentil sesso. Per quanto attiene ai partiti si è già detto della Francia ma anche in Germana il Spd, che punta su Peter Steinbruck nella sfida alla cancelliera Angela Merkel, annovera la vicepresidente del partito Hannelore Kraft, governatrice dell’importante regione della Renania settentrionale-Vestfalia, e la segreteria generale Andrea Nahles. Dal 2012 i Verdi sono guidati da Claudia Roth mentre nel Linke, partito creato da Oscar Lafontaine, prosegue la coabitazione della giovane presidente Katja Kipping con l’esperto Bernd Riexinger. In Italia nessuna donna ha potuto guidare un partito di sinistra ad eccezione di Grazia Francescato, eletta presidente dei Verdi nel 1999 al posto del dimissionario Luigi Manconi, reduce dall’1,8% alle Europee. La forza elettorale e dunque il potere di incidere del partito italiano, con percentuali in media tra il 2 e il 3%, è nettamente inferiore ai Verdi tedeschi che viaggiano sul 15%. In ogni caso Francescato, fondatrice nel 1973 della rivista femminista Effe, scrittrice e presidente del Wwf, diede una spinta innovativa partecipando ai movimenti no global in occasione del vertice del Wto di Seattle, prima del famigerato G8 di Genova del 2001. Soppiantata in un baleno da Alfonso Pecoraro Scanio, è stata ripescata 8 anni dopo per far rinascere gli ambientalisti rimasti fuori dal Parlamento. In seguito Grazia Francescato, che dal 2003 al 2006 è stata contemporaneamente consigliere comunale di Villa San Giovanni in Italia (Reggio Calabria) e portavoce femminile dei Verdi europei, è entrata nel coordinamento nazionale di Sinistra Ecologia e Libertà.
Il Sistema può contare anche sullo scudo della frammentazione di ruoli e incarichi che impedisce di attribuire specifiche responsabilità, un circolo vizioso che è padre e figlio della società italiana. Le statistiche confermano che le donne, pur ottenendo risultati migliori nelle scuole e sul lavoro, raramente accedono a posti dirigenziali. Il Global Gender Gap Report 2012, rapporto pubblicato dal World Economic Forum che misura il divario tra i sessi in termini di pari opportunità, colloca l’Italia al 80° posto su 134 nazioni prese in esame. In media nel nostro Paese le ragazze laureate sono sessanta su cento, dunque sopra il 58,5 e il 58% di Stati Uniti e Regno Unito. Già nel 1998 superavano i maschi con un rapporto di 56 a 44 per cento. La differenza retributiva è notevole: secondo una rielaborazione del Sole 24 Ore2 sui dati It-Silc (European Statistics on Income and Living Conditions) del 2008 la presenza femminile nel top management era soltanto il 10% e nei consigli di amministrazione delle società quotate il 6%. La legge del luglio 2011 sul terzo di quote rosa obbligatorie nei cda, proposta da Alessia Mosca (Pd) e Lella Golfo (Pdl), perlomeno ha invertito la tendenza. L’anno seguente l’Unione europea ha calcolato una crescita delle consigliere nelle quotate italiane sino all’11%, dato comunque al di sotto della media, pari al 15,8%. Anche la questione morale si interseca con quella femminile: dirigenti, funzionarie e professioniste nei guai con la giustizia sono infinitamente meno rispetto ai pari grado uomini.
Sulle relazioni sociali e professionali esercitano da sempre una fondamentale influenza le tradizioni e la religione nell’ambito del rapporto tra Stato e Vaticano. E’ impresa ardua rivoluzionare il punto di vista di una realtà patriarcale e nepotista che affida al maschio il ruolo di erede e “cacciatore” e alla donna, prevalentemente, quello di angelo del focolare. In Inghilterra, Germania e nei paesi scandinavi, ad esempio, lo Stato supporta in modo incisivo non solo la maternità ma anche la paternità, scelta che è sinonimo di una visione moderna della reciprocità nelle responsabilità familiari. In Italia i provvedimenti concreti latitano in termini di rafforzamento del welfare attraverso offerte di asili nido, servizi alle famiglie, o deducibilità dei costi per baby sitter e badanti. Anzi, il dilagante precariato di contratti a termine o parasubordinati mette a rischio le tutele per la maternità che si davano per acquisite. In forma più o meno latente sopravvivono stereotipi sul timore della gravidanza e sulla minore affidabilità delle lavoratrici, peggio se esteticamente gradevoli, quand’anche sovrastino oggettivamente i colleghi. L’altra faccia della medaglia sono le carriere-lampo in cambio di favori sessuali al capo. Gli stessi fattori sono applicabili ad una politica in cui l’aberrazione berlusconiana, ossia il casting di giovani prive di esperienza selezionate per l’aspetto e le frequentazioni, non viene adeguatamente contrastata. Le manifestazioni in difesa della dignità della donna sono scoppiate soltanto quando i festini con il Bunga Bunga e l’inserimento di ‘favorite’ come Nicole Minetti nei consigli regionali hanno fatto traboccare il vaso della sopportazione. Tuttavia il livello di assuefazione alla cultura consumistica della ‘femmina oggetto’ propinata nel tempo dai media berlusconiani non può essere l’unica spiegazione di una lenta e progressiva involuzione.
L’impegno civile delle donne è storicamente dimostrato dal numero di volontarie che si sono spese per la polis. Ciò malgrado le scarse possibilità di carriera e persino di autonomia, se consideriamo un partito accentratore e tradizionalista come il Pci in cui erano graditi i matrimoni interni alla ‘ecclesia rossa’. Eppure le attiviste hanno lasciato il segno negli anni della contestazione, arrivando a superare la metà più uno degli iscritti nella dotta e rossa Bologna. Nel 2011 le iscritte democratiche sul territorio risultano soltanto il 21% del totale. La spiegazione risiede anche nel disincanto nei confronti di un partito che ha smarrito la propria identità. Nell’eterogeneo Pd convivono posizioni agli antipodi, dalla cattolicissima Paola Binetti ad Anna Paola Concia, deputata in prima linea per l’estensione dei diritti civili. In questo quadro si avverte l’assenza di spazi politicamente vitali per pioniere in grado di rovesciare la prospettiva. Nel 1968 la anarco-comunista Rossana Rossanda sfidò il Politburo sovietico e l’ancora irregimentato partito italiano denunciando i crimini del socialismo reale e pagando il fio della radiazione. Quel casus belli, parte integrante di un rapporto irrisolto di odio-amore coi compagni, contribuì a orientarli, assieme ai movimenti femministi e ai Radicali, verso importanti conquiste per via referendaria: la legge sul divorzio del 1974 e quella sull’aborto di sette anni dopo. Con il tempo quella partecipazione che rende autentica una democrazia si è progressivamente spenta, come se oltre alla spinta propulsiva del Pci si fossero esaurite anche le lotte per una completa emancipazione. Lidia Menapace, partigiana, fondatrice del Manifesto e protagonista dei movimenti degli anni ’70, è un esempio della mancata valorizzazione del talento e delle tematiche femminili. Nonostante ripetuti appelli e raccolte di firme, l’intellettuale che insegnava il rigore nell’uso di un linguaggio sessuato e antimilitarista, rimase esclusa per decenni dal Parlamento. Solo nel 2006, a 82 anni, Menapace fu candidata ed eletta con Rifondazione Comunista. Le idee pacifiste le costarono subito la guida della Commissione Difesa al Senato in favore di Sergio De Gregorio, il dipietrista saltato a pagamento sul carro del berlusconismo.
La porta sbarrata della stanza dei bottoni nei confronti delle intellettuali progressiste, ambientaliste, laiche – in una parola anticonformiste – ha profonde radici storiche e culturali. In Francia risale al 1791, sull’onda della rivoluzione, la prima dichiarazione dei diritti della donna, in Inghilterra la letteratura vittoriana offrì occasioni significative di emancipazione, anticipatrici dei salotti politici. Il fatto che nel nostro Paese, ancora nel Novecento, fossero rari gli esempi di donne nelle arti e nelle professioni la dice lunga sull’arretratezza della società italiana, dovuta a vari fattori tra cui la povertà e l’analfabetismo diffuso, le differenze linguistiche e la tardiva unificazione. Paradossalmente, pure se emarginate nel Ventennio antidemocratico e ‘machista’, le partigiane nella Resistenza riuscirono a sviluppare le loro potenzialità, rompendo l’abituale isolamento dalla vita pubblica e politica. Gli storici calcolano 30mila donne impegnate come staffette e direttamente nella guerriglia contro i nazifascisti; furono l’àncora di salvezza per la Liberazione e al contempo la linfa per l’affermazione della parità di genere nella Carta Costituzionale, conquistando posti di comando senza doverli chiedere ai compagni. La partigiana Teresa Mattei venne eletta a 25 anni all’Assemblea Costituente nelle fila del Pci per cui ha svolto un ruolo di primo piano nella lotta per i diritti delle donne, fra l’altro introducendo in Italia la festa dell’8 marzo. Gisella Floreanini nel 1944 fu il commissario per l’assistenza e i collegamenti con le organizzazioni di massa durante i quaranta giorni della Repubblica dell’Ossola (Piemonte), poi presidente del Comitato di Liberazione nazionale di Novara e infine parlamentare del Pci; Camilla Ravera, dirigente dell’Unione Donne Italiane, nel 1982 è stata nominata senatrice a vita dal presidente della Repubblica Sandro Pertini. La partigiana Tina Anselmi è stata invece la prima donna ministro, con deleghe al Lavoro e poi alla Sanità a fine anni ’70, autrice di riforme come la legge per le pari opportunità e l’istituzione del Servizio sanitario nazionale. Anselmi, che ha donato alla democrazia italiana il fondamentale lavoro alla guida della Commissione parlamentare sulla loggia massonica P2, è stata candidata nel 1992 a Presidente della Repubblica ma senza concrete chances. Anche il nome di Nilde Iotti risuonava velleitariamente nella rosa di aspiranti al Colle. Nella scomoda condizione di compagna clandestina di Palmiro Togliatti, Iotti venne elevata a icona con un perfido sottinteso maschilista che la rendeva inimitabile, dunque irraggiungibile, dalle giovani compagne: membro della Commissione incaricata della stesura della Costituzione, in Parlamento dal dopoguerra per mezzo secolo, primo presidente della Camera dal 1979 al 1992. In quell’anno che segna lo spartiacque con la cosiddetta Seconda Repubblica Nilde Iotti è stata la candidata al Quirinale più votata al quarto, settimo e ottavo scrutinio con un massimo di 256 consensi dei grandi elettori, ma i partiti avevano già deciso che il presidente della Repubblica sarebbe stato Oscar Luigi Scalfaro. Vent’anni dopo lo scranno istituzionale più alto riservato ad una donna di sinistra, nella fattispecie a Laura Boldrini, è di nuovo la terza carica dello Stato. Al di là dei numeri di deputate e senatrici in aumento pesano alcune scelte simboliche. In Calabria, ad esempio, non sono state candidate giovani amministratrici democratiche nel mirino della ‘Ndrangheta: Elisabetta Tripodi, sindaco di Rosarno, e l’ex prima cittadina di Monasterace Maria Carmela Lanzetta, intimidite con incendi dolosi e minacce di morte. L’allora segretario Bersani ha citato ad esempio Lanzetta nella disfida televisiva con Matteo Renzi ma al momento di compilare le liste il Pd non ha trovato posto per nessuna delle amministratrici. Quale miglior simbolo di cambiamento sarebbe stata la candidatura di chi ha sacrificato la propria serenità per difendere il territorio, devastato dall’abusivismo e dalle speculazioni edilizie delle cosche?
(Il Fatto Quotidiano 2/9/2013)
Set 22, 2013 @ 09:45:19
Condivido pienamente l’analisi. I temi toccati sono diversi, non da ultimo l’ingerenza della religione cattolica che relega la donna a un ruolo subalterno, come del resto tutte le grandi religioni patriarcali. Va aggiunto, inoltre, che nella nostra società le donne lavoratrici, un tempo tutelate proprio dalla sinistra, con servizi come asili e sovvenzioni, oggi vengono completamente ignorate. Tuttavia, ci sono anche donne aiutate senza che abbiano fatto nulla, ad esempio le immigrate disoccupate, o, meglio, inoccupate per scelta religiosa squisitamente personale. A scapito di chi, invece, avrebbe diritto al servizio in quanto lavoratore attivo.
Per le donne della mia generazione, che hanno lottato per vedere riconosciuti i propri diritti, che hanno contribuito con il proprio lavoro ed il proprio impegno, anche politico, a creare servizi ed opportunità per le madri lavoratrici, questa è sicuramente una grande delusione.
Set 22, 2013 @ 12:53:35
Sì purtroppo, in tanti anni di lotte per la conquista dei nostri diritti, siamo ancora indietro anni luce rispetto ad altri paesi europei. Basta solo pensare alla differenza che c’è tra lo stipendio di un uomo e di una donna…stessa mansione ma diversa retribuzione…e non solo questa è un evidente discriminazione, c’è ne un’altra ben peggiore che molte aziende fanno, quella di assumere uomini al posto di donne perchè, in un probabile futuro siamo “colpevoli” di maternità….
Set 22, 2013 @ 16:27:46
Ottimo articolo costituito da un’interessante analisi sulla questione femminile e sul mancato processo di una reale e concreta parità di genere e di oppotunità sia nella vita sociale che in quella politica. Come donna, come persona che negli anni passati ha sempre condiviso, perseguito e cercato di attuare con il proprio lavoro e con l’ impegno personale i principi di parità, di opportunità e di riconoscimento di valore, oggi non posso che affermare e ribadire la mia generale nonchè particolare delusione , acuita se penso a quello poteva e doveva “far suo” una sinistra che, invece, si è mostrata, nel tempo, incapace o non interessata a “fare” per il mondo femminile.
Set 22, 2013 @ 21:52:45
l’articolo è bello ed interessante ma..non condivido l’esempio riportato di alcune donne in carriera come la Bonino e la Kyenge, a mio parere donne che per ciò che fanno ed hanno fatto non sono certo da prendere come esempi! La Bonino agli inizi praticava aborti clandestini, ora la Kyenge fà e invoglia a far venire…i clandestini! cmq, riferendomi in generale le condizioni delle donne rispetto ad anni fà per certi versi su alcune cose sono miglirate, ma per altre no! i diritti per cui abbiamo lottato, (almeno io) negli anni 60/70 li stiamo perdendo! vuoi per le condizioni attuali per la crisi vuoi per la facilità con cui molte sottostanno a cose spiacevoli pur di …andare avanti! non parliamo poi della politica in generale! sono poche le donne da cui trarre esempi positivi! io per via di queste mi vergogno solo a sentirle nominare! vedi Cicciolina, Minetti Santanchè e company! ma che donne sono? che si vendono per farsi notare e girare su giornali di gossip o show televisivi! Poi riferendomi ai nostri giorni sono d’accordo con chi ha detto che le straniere sono privilegiate rispetto alle italiane!. E’ vero e confermo! Io lavoro in una casa accoglienza per mamme in difficoltà, e noto e vedo che succede realmente, anche se non sono in contatto diretto , essendo io in cucina, da anni ci lavoro, alle italiane il più delle volte essendo indigenti viene tolta la potestà sui figli! solo perchè non hanno lavoro e non riescono a mantenerli! alle straniere invece dopo pochi mesi, hanno casa dal comune, tutto gratis spese comprese e un sussidio per vivere senza lavorare! quindi che viene da pensare? che si diventa razzisti anche non volendo vedendo le disparità con cui si viene trattate in casa nostra!
b sera
Set 23, 2013 @ 15:38:34
Onestamente trovo l’articolo molto interessante e ben dettagliato ma a monte l’argomento mi risulta complesso. La parità fra i sessi è e resta un miraggio, la creazione di un Ministero ad hoc è stata un’ulteriore spesa immensa ed inutile, le quote rosa sono la più grande cazzata (passatemi il termine) che potevano inventarsi per marcare ancor più la disparità di trattamento tra uomo e donna e per due motivi: 1 – se serve una legge per determinare la parità fra sessi siamo proprio messi male. 2 – avere ministri donne in parlamento, al governo o ne c.d. a. non frega assolutamente nulla a nessuna donna operaia commessa insegnante o impiegata che continua a lavorare come un uomo guadagnando meno, che lavora 8 ore al giorno e non ha strutture a cui lasciare i figli a meno che non paghi salatissimi conti alle baby sitter (anche loro donne che lavorano in nero). avere due ministre o tre o mille non cambia nulla nella vita di una donna lavoratrice. anzi, vedere le ministre che abbiamo, più incompetenti di molte donne operaie e per di piu’ arroganti e nullafacenti, fa solo incazzare le donne italiane. se poi ci mettiamo che le ministre italiane sono quelle citate in questo bell’articolo mi vien da dire che sarebbe stato meglio NON AVERLE MAI AVUTE. a cominciare dalla Bonino-spacciatrice, passando per la Kyenge arrogante ignorante e razzista fino ad arrivare alla Boldrini presuntuosa fascista e ipocrita che ci tira sempre in mezzo (noi donne) mentre noi donne oneste lavoratrici con lei non vogliamo avere nulla a che fare. abolirei quindi le quote rosa e metterei le quote PER MERITO, per davvero però, allora sì che molte donne potrebbero primeggiare. ma siamo in Italia e qui si sa, la meritocrazia è pura utopia…
Set 25, 2013 @ 14:17:23
Trovo che questo passo identifichi molto bene le cause culturali che continuano a influenzare ancora oggi: ‘Sulle relazioni sociali e professionali esercitano da sempre una fondamentale influenza le tradizioni e la religione nell’ambito del rapporto tra Stato e Vaticano. E’ impresa ardua rivoluzionare il punto di vista di una realtà patriarcale e nepotista che affida al maschio il ruolo di erede e “cacciatore” e alla donna, prevalentemente, quello di angelo del focolare.’ Credo che il ruolo della ‘donna oggetto’ sia ancora molto forte grazie infatti anche a tutto questo.
Set 25, 2013 @ 15:06:59
interessante! Questo paese, sembra come quella saletta del titanic, dove gli uomini, bevendo dreanks e fumando sigari costosissimi, organizzavano la vita di milioni di persone, decidendo la politica
Set 25, 2013 @ 18:56:44
Stefano senza il riconoscimento della meritocrazia i partiti relegheranno le donne ad una questione di “quote di genere” così salvano le apparenze. Purtroppo la discriminazione è culturale.
Set 27, 2013 @ 20:04:14
anche l’avanzata Norvegia qualche anno fa è stata costretta ad imporre le quote rosa, il 40%, anche nei CDA delle aziende quotate in borsa e chi non si adeguava chiudeva i battenti. La razio è che un paese non può privarsi del contributo del più del 50% delle sue intelligenze. Certamente la situazione della donna in Norvegia è sempre stata molto più avanti di noi che abbiamo ancora da risolvere problemi ben più basilari che loro hanno superato da decenni, tuttavia l’idea delle quote rosa non è da buttar via. Il problema da risolvere è che le quote rose da noi forse sarebbero rispettate in funzione del lato b più più che ad altri meriti, ancora una volta, grazie all’impero di reclutamento tutto maschile. Basti come esempio: la Merkel, una delle donne più potenti e capace di farci vedere i sorci verdi,.da noi è abitualmente chiamata “la culona” ripetendo, come se niente fosse, il suggerimento di un buffone.
Set 29, 2013 @ 13:47:58
Ciò che stupisce, a mio parere, è parlare ancora di uomini e di donne. Preferisco riferirmi alle persone piuttosto che alle differenze di genere poiché le qualità sono uniche e facilmente attribuibili al di là di qualsiasi diversità cromosomica. Credo siano alquanto avvilenti le ghettizzazioni per qualsiasi ragione esse si producano. Sul fatto poi che si sia disposti a riconoscere che tutto ciò sia frutto dell’ albero umano se ne può discutere a patto che non ci si affidi alla politica come panacea. Ciò che cambia profondamente una società è la cultura, le idee, le buone idee ed esse non appartengano ad un sesso. Occorrerebbe l’onestà intellettuale di riconoscere e attribuire un valore indiscutibile ad ognuno senza che ciò innescasse il corollario di sentimenti negativi che le scelte determinano. In Italia si è abituati a percorrere vie diverse, meno faticose : le amicizie, le conoscenze risultano ancora fondamentali sia per uomini che per donne. Una società che si rispetti dovrebbe essere in grado di fornire alle persone gli strumenti necessari alla realizzazione dei propri progetti di vita, l’interesse di ognuno dovrebbe puntare alla felicità.
Set 29, 2013 @ 22:47:15
Mi pare che lo studio analitico che è stato fatto sia generalizzabile. Nella società in cui ci troviamo a vivere, le ragioni connesse al genere, ma anche ai credo personali, alla razza, all’età, all’orientamento sessuale, continuano a rappresentare ostacoli alla partecipazione economica, politica e sociale.
Nel caso specifico le ragioni culturali che hai descritto e che identificano nella donna il depositario dei compiti di cura – ruolo che le stesse donne non contribuiscono a smentire, generazione dopo generazione – hanno senza dubbio una rilevanza mastodontica.
Cambiare una cultura è impresa faticosissima e lentissima, a maggior ragione quando chi ne gioverebbe, vi si adatta.
Ott 02, 2013 @ 13:58:11
L’rticolo è molto interessante, l’analisi è perfetta mi è piaciuto molto. Io vengo dal sessantotto, da valle Giulia quando si lottava per i diritti dell’uomo in quanto tale,e per i diritti costituzionali,compresa l parità dei sessi. Ho partecipato al movimento femminista, alle lotte per il divorzio, e per l’aborto, come libera scelta delle donne e perchè non ricorressero a metodi insicuri,ho partecipato all’istituzione dei colsultori familiari, perche’ le donne conoscessero la sessualita’ per prevenire gli aborti, grazie al partito radicale e ad Emma Bonino che se ne sono fatti portavoce.
I diritti attuali vengono da li, ma purtroppo il berlusconismo ,con le sue televisioni hanno fatto fare un salto indietro all’immagine della donna “stupida tutta culi e tette” donne stupide pronte a tutto, senza dignità, da sfruttare sessualmente e lavorativamente . Loro sanno quanto valgono le donne, ma le donne sanno quanto valgono?Nell’articolo manca il futuro, il futuro è l’Europa le donne sono al pari dell’uomo sia lavorativamente che sessualmente, la maternità è protetta fisicamente ed economicamente , il figlio è una risorsa per lo stato, la famiglia in quanto istituzione è tutelata, l’uomo è protetto dlla nascita alla morte.Questa è civiltà questo è idea di stato,è per questo ideale che combattevamo nel sessantotto.
Mi dispiace che ancora parliamo di diritti delle donne, ma sono loro che devono lottare contro uno stato che sta calpestando i diritti di tutti , dobbiamo riconquistare un poere usurpato, donne svegiatevi voi siete le più forti, le più intelligenti,le più serie, voi siete la culla della vita , non fatevela scippare da gente gretta e squallida . Lottate contro questa maafia che ci governa , non permettete più che vi umilino, che vi uccidano , lottate per la parità, educate i vostri figli all’amore ed al rispetto, è leducazione che ci può salvare. E la presa di coscienza di valori comuni.
Ott 13, 2013 @ 18:26:31
Il fatto è che essere di sinistra non significa non sottostare ad una cultura femminista femminocentrica eterosessuale, per cui l’uomo di sinistra, così come quello di destra, è spinto a fare carriera per avere agevolazioni economiche, sociali e, di conseguenza, sessuali. La donna, in questo quadro, è partecipe attivamente attraverso la sua politica di distribuzione delle concessioni sessuali. Il modo migliore per aumentare il numero delle donne nei luoghi di decisione è un modo molto di sinistra e cioè: equiparare lo stipendio tra rappresentanti e rappresentati, così come diceva lo stesso Lenin. In questo modo, la spinta arrivista dell’uomo non viene alimentata da dei vantaggi finanziari, anche se la figura di leader, squattrinato o meno, sarà sempre ambizione più maschile che femminile, poiché solo la donna ne è sensibile sessualmente.
Ott 30, 2013 @ 09:21:12
Excursus politico al femminile interessante e ben fatto.
In Italia paghiamo una tradizione culturale molto maschilista se paragonata ad altri paesi europei, difficile da smantellare, negli ultimi decenni rafforzata da un falso concetto di parità per le donne. Da un lato delle insulse quote rosa, dall’altro lo strapotere dell’immagine fine a se stessa.
In Norvegia la forzatura politica per un equilibrio di genere ha prodotto risultati positivi nel giro di pochi anni. Buona cosa, ma penso la si debba smettere di andare alla ricerca di pezzetti di modelli lontani da utilizzare come soluzione calandoli dall’alto. Lo facciamo con tutto. Andiamo a cercare risposte, possibilmente all’estero, e cerchiamo di farle nostre ritagliando le parti che più sembrano adattarsi a noi, cioè al nostro status in essere, convinti di migliorare.
Il vero cambiamento avverrà solo dal mutare del consolidato erroneamente ritenuto base necessaria sulla quale posizionare “novità”. Dall’idea di Famiglia in primis, dall’idea di genere e di ruoli, dall’idea di successo, dall’idea di collaborazione…
Ott 30, 2013 @ 16:56:15
Un’analisi storica, molto approfondita, della donna nella politica italiana. Le professioni, da sempre, tendono a tramandarsi di padre in figlio/a, e ‘fare politica’ è una professione. I giovani politici si formano con la militanza nei partiti, le donne che si avvicinano alla politica sono cresciute in ambienti in cui si respira politica. Le quote rosa costringono i partiti a candidare donne che, si ritrovano catapultate in un mondo sconosciuto in balia di volponi. Una parte di loro si arrenderà, altre, affascinate dai meccanismi, riusciranno nella loro carriera. La scuola, con l’insegnamento dell’educazione civica, materia ampiamente sottovalutata, potrebbe dare un input verso la politica, questa sconosciuta.
Ott 31, 2013 @ 11:07:36
Marianna MANCINO.
La questione femminile, che vede la donna ai margini o comunque relegata in ruoli secondari anche nella vita politica, affonda le sue radici senz’altro nella matrice culturale e religiosa del nostro Paese. In buona sostanza mancano, nella storia della nostra Repubblica, figure femminili di riferimento, carismatiche, leaderistiche, seppure, come hai ben descritto nel tuo articolo, le donne non si siano mai sottratte, laddove richiesto e considerato “indispensabile”, alla partecipazione e all’azione per cambiare le sorti politiche dell’Italia. Ciò detto, le prime a considerare insormontabili gli ostacoli verso la conquista di posizioni verticistiche, siamo proprio noi donne. Senso di inadeguatezza, carico eccessivo di responsabilità, la paura di sottoporre il proprio operato al giudizio lapidario degli uomini e soprattutto delle altre donne, è ancora un freno fortissimo al desiderio di spendersi in politica. Pertanto, pur non amando il sistema della “quote rosa”, sono costretta a doverne sottoscrivere la funzione che è quella di stimolare, attraverso la partecipazione di genere garantita, l’ingresso delle donne in politica, con l’auspicio che in un futuro non molto lontano, possano emergere, per merito, competenza e intelligenza, figure femminili in grado di segnare la Storia del nostro Paese.
Nov 01, 2013 @ 14:17:11
Il tuo articolo da una dimostrazione esaustiva di com’è cambiato in bene o in male il ruolo e il potere? (se mai l’hanno avuto le donne) della donna.
E che la società è ancora troppo superficiale.
E’ sempre il solito problema dell’Avere e in più Avere tutto e possibilmente subito.
Complimenti a te per l’articolo.
Nov 05, 2013 @ 20:21:10