Premiata

In vista della pubblicazione del mio primo libro sul calcio femminile anticipo la storia di Patrizia Caccamo, che sabato scende in campo per l’esordio con il Deportivo a Palma di Maiorca. I suoi tabellini sono da record, ma i duecentosei gol e gli innumerevoli assist dipinti in vent’anni fra serie A e B, non ne tratteggiano appieno il talento e il percorso extra-ordinario.

Vive il periodo d’oro della Fiorentina dei Della Valle, apripista dei club che investono nel calcio femminile, durante il quale si aggiudica lo scudetto, due coppe Italia e la Supercoppa. Gioca otto partite in Nazionale, l’ItalViola del commissario tecnico Antonio Cabrini che si qualifica agli Europei dei Paesi Bassi e getta le basi per il successivo exploit mediatico delle azzurre ai Mondiali. Gli addetti ai lavori e gli spettatori beneficiano delle splendide giocate di Patrizia,  un esterno offensivo che parte a sinistra e dialoga con le compagne, ama sterzare verso la porta e scoccare conclusioni a giro con ambedue i piedi. Il dribbling secco, arricchito da un possesso palla funambolico, e la potente velocità inducono non pochi tifosi a invocarla nell’altra metà del calcio, in luogo degli attaccanti viola.

Se Alex Del Piero, rientrando dalla fascia, pennellava nel sette come Pinturicchio, restando nelle arti figurative Patrizia Caccamo rimanda all’espressionismo. E’ tutta la vita di questa ragazza a rappresentare un inno alla fantasia, un vortice che tocca profondità arcane, assumendo i contorni metasportivi di un viaggio ai confini della realtà.
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Patrizia Caccamo nasce nel 1984 a Wickede, nel nord della Renania, dove i nonni e i genitori siciliani sono emigrati per lavorare in fabbrica. La famiglia favorisce l’emergere della sua vocazione, e poi la sostiene unitamente: “Da bambina ero spesso nervosa, così il pediatra disse ai miei di farmi praticare sport per scaricare la tensione. Giocavo sempre con il pallone in casa, ovunque, allora papà mi iscrisse alla scuola calcio. Avevo solo sei anni. Mi ricordo la prima partita: facevo i castelli di sabbia con un compagno, ma da quel giorno la mia vita è cambiata”. Che stia accadendo qualcosa di grande si percepisce subito. Patty gioca nel campionato maschile coi coetanei tedeschi, è l’unica femmina e si destreggia ottimamente: a 8 anni è la capocannoniere del torneo. Una volta alla settimana va a lezione di italiano, continua nel misto fino a tredici anni, quando si misura con due campionati diversi: sabato quello maschile, domenica le partite con le ragazze. Dalle giovanili in Germania alla Serie A italiana il passo è lungo quanto il ritorno nel suolo patrio. “Nel maggio del 2000 ero andata in vacanza in Sicilia dai nonni, un cugino mi fece fare un provino col Gravina. Mi presero subito, senza esitazioni, anche perchè io non volevo trasferirmi. Mamma utilizzò le sue vacanze per riportarmi in agosto e consentirmi di andare in ritiro con la squadra. Lei poi salì in Germania a lavorare lasciandomi coi nonni… Ma nel giro di due mesi i miei genitori ci raggiunsero: da sempre avevano l’obbiettivo di tornare in Sicilia. Si conobbero in Germania, anche se a Paternò stavano a sei traverse di distanza”. Il fato. “Io credo nel destino”.

Patrizia Caccamo a sedici anni esordisce nella massima serie. La squadra non è attrezzata per traguardi ambiziosi, lotta con le unghie e con i denti per restare in serie A, ma Patty si distingue subito. Col pallone fra i piedi disegna arabeschi e vede subito la porta. Dopo tre partite è già in Nazionale Under 18: alla prima amichevole indossa una maglia pesante, il numero 10. “Gravina è la mia famiglia, dove i grandi si prendevano cura dei piccoli. Il presidente non mi diceva mai brava per paura che mi montassi la testa. Bellissimi momenti… Rifiutai la proposta della Torres perché volevo stare in squadre in cui eravamo amici”. Il calcio come momento ludico collettivo che unisce, quella è la dimensione fondamentale. “In Sicilia si gioca ancora per strada, nei piazzali, davanti a casa, usando il garage come porta. La gente si lamenta, ogni volta che tiri si sente un boato”.

Le ragazze del Gravina, quasi tutte della provincia di Catania, sono affiatate in partita perché si aiutano nella vita, si ospitano a vicenda proprio come una famiglia allargata. E su quel campetto ai piedi dell’Etna non mancano le giocate pirotecniche. Caccamo ne ricorda una particolare: “Mi lanciano, io parto e vado in contrasto con un armadio, siamo Davide contro Golia: tutte e due cadiamo a terra, alzo la testa e vedo la palla che carambola in area. Il portiere esce, io da terra inizio a camminare a palmo della mano in giù e coi piedi avanzo… fintanto che non tocco la palla di punta anticipando il portiere. Un gol che mi è costato una tendinite acuta del tibiale”. I più gravi infortuni nella carriera di Patrizia saranno la rottura dell’alluce e uno strappo dell’inserzione del quadricipite. Lei matura una teoria per prevenirli: “Non fare stretching prima di allenamenti duri e partite. Il muscolo non deve rilassarsi, al contrario va caricato prima della gara. Ognuno è libero di fare quello che vuole ma per la mia esperienza garantisco che se eviti lo stretching non ti rompi cadendo male”.

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A Gravina si susseguono sei stagioni tormentate e fantastiche: la felicità per le salvezze è più forte delle amare quanto inevitabili retrocessioni, però mancano le risorse, le calciatrici debbono affrontare scomode trasferte e intanto sono costrette a lavorare per guadagnarsi da vivere, come tutte le colleghe nelle società dilettantistiche. Caccamo, ancora giovanissima, trova un posto in un bar per raccattare qualche soldo per l’estate, ma le compagne più grandi “dopo aver lavorato tutto il santo giorno staccavano e… venivano al campo”. Non tutti gli uomini le vedono di buon occhio. Nell’isola del delitto d’onore e del matrimonio riparatore, cancellati legislativamente neanche vent”anni prima, per molti le donne devono restare imprigionate nei ruoli di mogli casalinghe e figlie castigate, sotto lo sguardo proprietario di mariti e padri. Per essere considerata una “svergognata” da un uomo di Neanderthal basta una gonna sotto al ginocchio, figurarsi maglietta e calzoncini. Patrizia supera in scioltezza il problema culturale: “Laggiù la donna che gioca viene sottovalutata, in generale anche in Italia. Io chiedevo sempre di entrare durante le partite dei ragazzi nei quartieri, loro non volevano… Finché non mi vedevano giocare e allora mi accoglievano”.
Il presidente del Gravina vaga in lungo e in largo ma non trova sponsor, s’impegna per un gruppo mai domo fino al tracollo economico: la squadra deve trasferirsi a Paternò, infine si dissolve a causa del fallimento della società. “Lo venni a sapere durante un torneo estivo in Puglia. Me lo disse Graziella Ricci, una cara amica con cui giocavamo in spiaggia ogni anno. Lei è la presidente della squadra femminile di Torre Pedrera, nel Riminese. Dispiaciuta mi mostrò i fogli della federazione: “Guarda qui, il Gravina non è iscritta ad alcun campionato”. Eravamo incredule. Da una parte mi piangeva il cuore, dall’altra pensai che potevo andare dove volevo perché da quel momento il cartellino era mio. Iniziarono a chiamare le società, anche grandi, ma io scelsi il Torre Pedrera. Tra lavoro e campo ero felicissima, con Graziella non ci siamo mai lasciate, continua a venire a giocare con me d’estate. E’ la mia seconda madre”. Ricci è una delle pioniere del calcio femminile, lavora con perseveranza con le giovanissime e costruisce un gruppo solido che conquista la serie B. Nel divertimentificio di Rimini, con le discoteche e le notti brave, Patrizia non cede alle distrazioni e si allena duramente. In principio trova impiego in un bar, poi in un negozio di abbigliamento.

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Dopo un solo anno passa al Ravenna, perché ora la sua volontà è di sperimentare: “Desideravo fare diverse esperienze. Infatti scesi di nuovo in Sicilia con l’Acese, un’altra società che gestiva tutto con sacrifici”. Il comune di Sant’Antonio reca il prefisso Aci in ossequio alla leggenda greca dell’omonimo pastorello ucciso da Polifemo. Il ciclope s’invaghì di Galatea ma non accettò il rifiuto, gettando per vendetta un masso di lava sul suo amato Aci. La ninfa versò lacrime sul corpo inerme e gli dèi trasformarono il sangue del pastore in un piccolo fiume. Patrizia Caccamo è il punto di riferimento per l’Acese, reincontra una tifoseria calda, una folla accogliente come quella che i pittori rinascimentali disegnano per Galatea in trionfo, sopra un conchiglia trainata da delfini. Sono tre stagioni ricche di soddisfazioni e marcature, finché la bomber che parte dalla fascia decide di stabilirsi al centro: un campionato a Sezze, la città laziale che si vuole fondata da Ercole, e una a Napoli, sempre sulla scia del mito greco. Il feeling non scatta, appena cinque reti per ciascuno, sicché Patrizia incede oltre, senza tema, nel labirinto itinerante che la riporta al punto di partenza, dove rinverdisce gol e sorriso: Aci e Romagna, stavolta in serie A nel Riviera, squadra di Cervia. Benchè siano trascorsi tre lustri, il sapore delle vittorie nella massima serie è lo stesso.

 

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Patrizia Caccamo approda sulle rive dell’Arno nel 2015, proprio l’anno in cui i Della Valle acquiscono il titolo del Firenze, società dilettantistica di calcio femminile fondata 36 anni prima. Le viola diventano la prima squadra italiana di un club maschile e finalmente si avvalgono di un importante staff tecnico, di strutture e comunicazione.
Il dirigente Sandro Mencucci, già protagonista della traversata nel deserto della Fiorentina maschile, salvata dai Della Valle dopo il crac e ripartita dalla C2, giura di “scrivere la Storia del calcio femminile”. Patty invero non ci sta pensando: “Avevo appena trovato un buon lavoro, potevo entrare in azienda con il contratto a tempo indeterminato. Ma poi mi chiamò Sauro Fattori“. E’ il tecnico che allena già da tre anni le ragazze della società dilettantistica Firenze. Da attaccante Fattori ebbe l’umiltà di esordire con Antognoni e di passare il resto dei suoi campionati in B e C, cambiando casacca una dozzina di volte, praticamente ogni stagione. Adesso crede fermamente nel progetto. Con lui tanti professionisti, donne e uomini, dentro e fuori dal campo. La bomber della Nazionale Patrizia Panico, a quarant’anni, rinuncia a disputare la Champions League col Verona allo scopo di abbattere tutti i pregiudizi sulle calciatrici. A Firenze, hic et nunc, nasce il semi-professionismo.
La forza delle gigliate è ancora in nuce, il primo anno la squadra comincia a macinare gioco ma il progetto necessita di tempo per dispiegarsi. Le giglate si piazzano al terzo posto dietro il super Brescia di Milena Bertolini. Caccamo viene insignita della pergamena dedicata alla migliore giocatrice della rosa. “All’inizio non riuscivo ad esprimermi, ma poi grazie alla fiducia del mister tutto venne da sè. Scudetto, Nazionale, Coppa e Supercoppa. Un’emozione indescrivibile…”.
Il titolo giunge al secondo tentativo, al termine di un’appassionante testa a testa con le leonesse, culmine di una cavalcata durata quindici vittorie consecutive, ventuno su ventidue totali. Per la sfida decisiva contro il Tagnavacco, il 6 maggio 2017 allo stadio Franchi, accorrono circa ottomila persone. E’ un evento di partecipazione per il calcio femminile, secondo solo alla semifinale di Champions League raggiunta dal Bardolino nove anni prima, quando al Bentegodi Patrizia Panico e le scaligere sfidarono il Frankfurt davanti a quasi quattordicimila spettatori. Caccamo segna il gol che sblocca il risultato: “Ilaria Mauro libera Alia Guagni che si invola sulla fascia, crossa rasoterra, io brucio l’avversario e la piazzo nell’angolo”. Un’altra pennellata l’anno seguente bacia la finale di Coppa Italia contro il Brescia, vinta per 3-1 sul campo di Noceto: “Tatiana Bonetti batte un calcio d’angolo, un difensore allontana di testa nella mia zona, io colpisco al volo di collo esterno e gonfio la rete sotto la traversa”.

 

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Il numero sulla maglia non tragga in inganno. Che sia il 7, il 9, o in seguito il 19, numero legato al nonno e indossato dopo la sua morte, Caccamo resta la dominatrice della fascia e una goleador di razza. Dal battesimo nelle azzurrine non ha più portato il 10. I cronisti però la paragonano a Roberto Baggio per la velocità palla al piede e a Francesco Totti per la potenza.  Patrizia, nome che evoca i nobili discendenti di Romolo,  ha una predilezione per il re della capitale. Quando sente nominare er Pupone, espande il sorriso come una farfalla: “Lo conobbi su iniziativa di una mia amica, che mi fece una sorpresa. Sapeva che la Roma alloggiava in un albergo vicino e con un pretesto mi ci portò. L’incontro con Totti fu un regalo bellissimo”. Non ama i confronti col calcio maschile: “Una donna non può competere come forza e velocità con un atleta uomo. Come tecnica, invece, sì”. Soprattutto, non essendo professionista, è costretta a sacrifici maggiori, senza salari adeguati e tutele. “A Firenze non lavoravo, ero calciatrice a tempo pieno. Sostenevo sei, sette allenamenti a settimana. La vita privata, pian piano, era diventata zero”. Comunque la passione per il calcio vinceva su tutto: “Senza non so stare. La mia vacanza ideale è nel Salento: la mattina mare, la sera torneo Futsal”.
Alla fine della stagione 2017-2018, anziché scendere in ferie, Patty trasvola insieme al portiere Noemi Fedele negli Stati Uniti. L’Osa Seattle, presieduta dall’italiano Giuseppe Pezzano, disputa la Women’s Premier Soccer League, un campionato estivo di secondo livello cui però partecipano anche le iridate Alex Morgan e Abby Wambach. Pezzano si interessa al calcio delle donne grazie alla centrocampista del Fiammamonza Alessandra Nencioni (ora in forza al Napoli), lancia la squadra femminile e diventa partner della Fiorentina, che invia tecnici per la formazione dei giovanissimi, nonché Alia Guagni, Valentina Giacinti, Francesca Vitale, Martina Capelli, Deborah Salvatori Rinaldi. Caccamo resta affascinata dall’organizzazione del soccer femminile più avanzato del pianeta: “E’ stata un’esperienza bellissima in tutto e per tutto. L’host family, i campi in sintetico e coperti, l’annesso centro di riabilitazione. Nell’immensa struttura di Seattle, giustamente, era vietato bere alcol e fumare. Eravamo quarantacinque giocatrici, quasi tutte del college, molte facevano gli stage. Venivano osservatori da tutta America e dal Canada, ragazze e ragazzi selezionati ricevevano borse di studio. Tecnicamente non sono molto forti, ma la loro fisicità è impressionante. Seguono un corso a parte per la preparazione contro gli infortuni. Un fatto mi colpì: un’avversaria era incinta di cinque mesi eppure giocava…”.

 

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Alla ripresa in Italia Patrizia assaggia per la prima volta il freddo della panchina. Il nuovo allenatore Antonio Cincotta scommette sull’attaccante del Tagnavacco e della nazionale scozzese Lana Clelland, classe 1993. Sessantasei presenze e quarantuno gol in tre anni, sintonia invidiabile con le compagne che esibiscono un giuoco rapido e spettacolare: per Caccamo è tutto finito. “Sono andata via perché il feeling con Cincotta non è mai nato. A malincuore, fra le lacrime, ho dovuto abbandonare Firenze per mia scelta”. Come Galatea per la fine di Aci, Patrizia lascia un fiume di ricordi alla sua Firenze e s’inoltra nelle nebbie padane firmando con l’Atalanta Mozzanica. Purtroppo la presidente bergamasca Ilaria Sarsilli naviga in cattive acqua a causa della scelta del club maschile di cessare la collaborazione con il femminile. A fine stagione l’Atalanta dichiara lo scioglimento lasciando a piedi Patrizia, che ha ancora negli occhi il passato prossimo gigliato. Osserva i cambiamenti in corso nella Fiorentina, acquistata da Rocco Commisso, e critica la scelta di lasciar fuori Sandro Mencucci, fra i dirigenti più impegnati per il movimento femminile: “Presi le difese di Mencucci perché se lo meritava pienamente. Nessuno aveva preso posizione ma io dico ciò che penso e lo farò sempre senza paura”.
Patty Caccamo ha 35 anni, le recenti delusioni la inducono a riflettere sull’eventualità di attaccare il pennello al chiodo. Il suo, adesso, è un urlo di Munch sullo sfondo di un vulcano in eruzione? No, la bambina che tirava pallonate di gioia fra i castelli di sabbia e nel sette dei garage, non smette di giocare neppure fra i lapilli dell’esistenza. Milita in serie B nel Vittorio Veneto e nell’estate 2019 vince lo scudetto di beach soccer con il San Benedetto del Tronto. “Anche gli uomini della Sambenedettese hanno vinto e noi abbiamo fatto il tifo, viceversa loro sono stati i nostri supporter. E’ il mio primo anno di beach soccer, nel gruppo ero la motivatrice, facevo scaricare la tensione”. Ormai peró Patrizia è stanca di com’è diventato il campionato italiano, per cui rifiuta l’offerta del Perugia e saluta il Belpaese. Torna in mezzo al mar Mediterraneo, in un’altra isola inebriata da antichi profumi, fondata nel secondo secolo avanti Cristo dal console romano Quinto Cecilio Metello. Al sorgere del 2020 è a Palma de Maiorca per vestire la maglia nel Deportivo Collerense, seconda divisione spagnola. Seduta accanto in aereo ritrova l’amica Noemi Fedele, che saluta le compagne viola senza polemiche, al pari della team manager Tamara Gomboli. “Firenze lo sai, non è servita a cambiarla” cantava la poesia di Ivan Graziani. Narrava l’addio di una giovane pittrice: “Gettò i suoi disegni con rabbia giù da Ponte Vecchio: Io sono nata da una conchiglia diceva. La mia casa è il mare e con un fiume no, non la posso cambiare“.
Caccamo non sceglie il gioiello naturale delle isole Baleari come buen retiro, ma per ricominciare: “In Italia si sta puntando solo sulle straniere. Qui siamo professioniste, abbiamo il contratto di lavoro. Cerco sempre di migliorarmi nonostante l’età”. Il futuro? “Lo vedo sempre nel mondo del calcio. Mi piacerebbe fare il talent scout oppure il personal trainer sul campo, come sto già facendo. E tornare a casa, in Sicilia”. Forse sul candore sabbioso e l’iridescenza marina Patrizia non cavalca come Galatea una conchiglia trainata da delfini, ma dipingerà sempre meravigliose traiettorie.

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