Camminava anche quel giorno al ritmo dell’auricolare mentre calpestava per diletto le foglie sul sentiero, quasi a segnare un punto in un moderno videogame importato dall’America. Lo zaino bordeaux, un ricordo di Parigi, le ciondolava sul dorso come se una delicata percussione carezzasse la melodia di Le chic et le charme di Paolo Conte. Monika sceglieva le musiche non in base all’umore ma allo stato d’animo verso il quale sentiva di tendere, erano il preludio e così amava gustare ogni nota, ogni strofa, ogni silenzio. Ugualmente si acconciava la mattina. Se la salopette di jeans, che lasciava scoperte le bianche spalle e metà coscia era funzionale alla scarpinata, la lunghissima e rigorosa treccia sembrava un simbolo epico. Non un archetipo matriarcale o qualche teoria che gli intellettuali potessero confinare in un bolso dibattito sul significato politico e psicologico del look, neppure un’esaltazione estetica delle forme giunoniche sulle quali si accomodava senza malizia. Viceversa, quel serpente che aveva per capelli suggeriva un rapporto di simbiosi con la natura. Ad esempio, nel corso della passeggiata la sua coda si allontanò dal corpo per ficcarsi in un cespuglio: Monika aveva lanciato un bastone nella boscaglia e la treccia, per effetto del movimento, si era avvinta con vigore ad un rametto spinoso. Non c’era verso di staccarla, sicché la ragazza si fece largo con premura nell’arbusto, abitato da tanti piccoli esseri che svolazzavano fra le foglioline ovali. Avvertì un profumo intenso, seguendone la scia scoprì una pianta di rosa nascosta in mezzo ai rovi. V’era un unico bocciolo, in procinto di schiudersi. Invisibile agli animali, quel fiore si presentava di un rosa sì vivo da commuovere. <<Amazement>> sospirò ammaliata nella lingua che per prima aveva imparato in Unione sovietica, studiando clandestinamente testi occidentali. Le capitava non di rado che qualcuno o qualcosa, d’incanto, la riportasse all’essenza. Il momento era sublime quanto sfuggente, benché non fosse in grado di decodificarne il senso, l’accoglieva con letizia ascendente. Proprio come un’artista con la sua opera, arrivava a immedesimarsi nell’oggetto, in un attimo la cui relatività temporale soggiace alle leggi della creatività. Ora Monika sarebbe stata quella rosa per tutte le volte che avrebbe desiderato in futuro, un turgido bocciolo che è sempre sul punto di svelarsi, adornato di minuscole gocce di rugiada, vezzeggiato da buffe coccinelle, baciato da frizzanti api, corazzato di spine necessarie, forse utili a tener distanti gli spiriti maligni, forse letali per cuori vulnerabili. Monika chiuse gli occhi e si tuffò con la totalità del viso nella fragranza, abbandonandosi fra i morbidi petali con estrema delicatezza, come calzasse una seconda pelle di raso rosa.