Sul versante opposto della casa, nella camera degli ospiti, Monika rifletteva supina. Si era coricata senza cambiarsi, subito dopo aver preparato lo zaino. Posizionando il ritratto della madre, ripensava a lei: <<Mamma non è mai stata felice con il generale, eppure non lo ha lasciato e non lo lascerà…>>. Mano a mano le tornavano alla mente i bei momenti vissuti insieme motteggiando sul treno per il mar Baltico, le pallate di neve, alleate con la nonna contro gli uomini di famiglia, le risate a crepapelle in cucina: << Portai a compimento la prima torta, un’installazione ridicola che pencolava, nondimeno rigida come un sasso>>. Le tante volte in compagnia della pittrice nella cantina dei misteri. <<Se ne stava lì, assisa sulla seggiola policroma, ogni tanto si spostava il ricciolo dei capelli che le cadeva sul viso, e dava ai suoi occhi celesti mano libera. Mi dipingeva, ore ed ore. Le piaceva che fossi io a decidere chi impersonare. Favoloso. C’era pure una piccola finestra che si affacciava sul lago Balžis, un paradiso naturale circondato da pini profumatissimi. Con sprezzo del rischio mi concedevo delle fughe… Salivo sul grosso ramo vicino al pertugio e scendevo giù per il fusto! Quel pino era il mio amico, custodiva il nostro segreto, la qual cosa mi faceva divertire doppiamente: credevo che nessuno se ne sarebbe mai accorto! Un giorno però mamma, a tavola, fece riferimento al grande albero e ad una scoiattola astuta che sguazzava nel lago… Lei quindi lo sapeva ma non aveva fatto la spia>>. I ricordi, lontani dalle durezze della vita, erano ancora più teneri e vivi. La genuinità delle sensazioni le rubò una lacrima di commozione. <<Mi sentivo a mio agio in quel vecchio deposito impolverato, zeppo di sorprese…>>. Il contrario della camera in cui si trovava adesso, aristocratica e fredda. L’alta finestra semichiusa e il gigantesco specchio dai contorni in legno dorato, nei pressi del letto, la mettevano in soggezione. Anche per questo aveva spento subito la luce. <<Nella cantina dei misteri diversamente mi addentravo con la torcia, esplorando fra le cianfrusaglie accatastate: il mobile senza un piede, l’orologio a cucù che avevo rotto centrandolo con una biglia di vetro, i libri avvolti nelle ragnatele e quelli negli scaffali più alti, per me irraggiungibili”.