Piovani, da bomber a mister del Sassuolo femminile: “Le atlete ti danno più soddisfazioni”

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L’aurora del 2020 per il calcio femminile, in Emilia-Romagna, è rappresentata dai gol e dallo spettacolo che baciano il cuore di Sassuolo. O di Sasol, espressione dialettale che comprime il toponimo del terzo comune della provincia di Modena per numero di abitanti. Questa città, oggi divisa fra la gloriosa ceramica e le scintille del calcio, pare l’anello di congiunzione fra arte manuale e fantasia, passato e futuro, così come il nome conserva una doppia origine: i termini latini saxum e solum rimandano al territorio roccioso, su cui probabilmente sorgevano i primi villaggi, e al petrolio, molto presente nel sottosuolo. Sia come sia, la ricchezza calcistica di Sassuolo attualmente sgorga da un altro binomio, quello che unisce, sotto il marchio dell’industria chimica Mapei, la squadra di Roberto De Zerbi e la formazione femminile.
Le ragazze allenate da Gianpiero Piovani giocano nello stadio Enzo Ricci, costruito nel 1929 in piazza Risorgimento, in pieno centro storico. Non tragga in inganno l’età dell’impianto, intitolato al dottor Ricci, schermidore reggiano e medico sociale del Sassuolo. Lo stadio, più volte rimodernato dal Comune che ne è proprietario, accoglie fino a quattromila spettatori. La squadra maschile lo ha utilizzato prima di trasferirsi nell’avveniristico Mapei stadium di Reggio Emilia e, per gli allenamenti, fino alla sfida di saluto nel maggio 2019, quando si sono affrontate due undici misti, composti da calciatrici e calciatori del Sassuolo. L’ amichevole del Sasol si è conclusa in parità nei tempi regolamentari, con reti di Michela Cambiaghi per i verdi ed Elisabetta Oliviero per gli arancioni, poi vincenti ai calci di rigore. Lo stadium era stato teatro di un importante evento sportivo tre anni prima: la finale di Women’s Champions League vinta dall’Olympique Lione contro il Wolfsburg.

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La prima parte del campionato per il Sassuolo femminile è positiva, si va confermando il quinto posto della prima stagione. L’esordio casalingo del 2020 contro l’Hellas Verona si conclude 4-1 in forza di un gioco frizzante ed efficace, con tripletta di Claudia Ferrato e autogol provocato da un cross forte e teso di Martina Lenzini. Anche la portiere belga Diede Lemey risulta decisiva per alcuni interventi nei momenti di forcing delle scaligere. Passeggiando al termine dell’incontro, Piovani non si sofferma sulla mossa vincente di inserire Ferrato dopo neanche mezz’ora di gioco: “Prima della gara mi premeva di dire che le giocatrici più importanti sono quelle che vengono dalla panchina, già la scorsa partita Claudia era entrata confezionando l’assist del gol e procurando un rigore. Le ragazze sono tutte importanti: Diede è stata molto brava ma anche Nicole Lauria (la numero 12, classe ’99, nda) lavora bene, abbiamo un ottimo preparatore, Raffaele Nuzzo, a me piace che i portieri sappiano giocare coi piedi e loro si applicano molto bene, con voglia e determinazione”. Obbiettivo la permanenza nella massima serie, con la consapevolezza di poter confermare il quinto posto della prima stagione e di continuare a crescere. Il mister sottolinea: “Sempre con la massima umiltà”. Assieme alla caparbietà e alla visione di gioco, è uno dei tratti distintivi dell’ex bomber del Piacenza maschile di Gigi Cagni.
Ci ha sempre creduto, Gianpiero Piovani, fin da bambino, quando sgambettava nel campetto dell’oratorio di Orzinuovi, antica cittadina della provincia bresciana. “Sin da allora mi muoveva la passione: mamma Dina veniva a chiamarmi alle otto di sera in oratorio dicendomi che era pronto in tavola. Io dicevo “arrivo fra cinque minuti, poi continuavo a giocare a calcio fino alle dieci. Quando tornavo a casa, trovavo la tavola vuota e andavo a letto senza mangiare”. Gianpiero viene notato dagli emissari del Brescia, che lo inseriscono negli under. La prima partita in serie A reca la data del 14 settembre 1986. Al centro del rettangolo verde, a stringergli la mano, è il numero dieci del Napoli: Diego Armando Maradona. Il ricordo di Piovani è vivo più che mai: “Esordire a 17 anni in serie A con la maglia della mia città, Brescia, e contro Maradona che è stato uno dei migliori giocatori al mondo, è un’emozione indescrivibile. Credo che ci sia poco da dire. Ancora oggi mi viene la pelle d’oca”.
Nei quattro anni seguenti viene mandato a farsi le ossa, con la formula del prestito, nel Parma in serie B e nel Cagliari, con cui ottiene la promozione dalla C1 alla seconda serie e una Coppa Italia di C. Nel 1990 torna in Emilia Romagna nella città più lombarda: Piacenza, voluto da Luigi Cagni, allenatore bresciano che lo aveva tenuto d’occhio anche nelle stagioni dei prestiti. Il trainer lascia sei anni dopo, mentre Piovani dispiega quell’avventura lungo undici primavere costellate da gioie e imprese sportive: la promozione in A e le quattro salvezze consecutive, e ancora, dopo due retrocessioni, altrettante promozioni, con Piovani stabile punto di riferimento. A titolo statistico il Gianpiero nazionale, ché l’azzurro avrebbe meritato per quanto dimostrato sul campo, fa registrare il maggior numero di presenze nella storia del Piacenza, 341, e il podio dei goleador, come terzo miglior marcatore di sempre nel club: 57 reti, delle quali 15 realizzate nella stagione 1994-1995 in appoggio a Filippo Inzaghi. Ma la sua crucialità negli equilibri di gioco andava oltre: Piovani non era un attaccante puro, partiva defilato sulla destra e svariava su tutto il fronte, dialogava coi compagni alla ricerca di soluzioni geometriche, incisive e spettacolari.

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Il passare degli anni e dei successi non ne hanno scalfito la cifra del professionista serio e disponibile. Quando l’allenatore del Piacenza Walter Novellino lo ha messo da parte, Piovani è ripartito senza batter ciglio dalla serie C con il Livorno, contribuendo a riportarlo in B dopo un trentennio. Poi Lucchese e Lumezzane, le esperienze in serie D nel Chiari, nell’Ivrea e nell’associazione calcio Rodengo Saiano, vivendo con queste ultime due squadre la promozione in serie C1. Appende le scarpette al chiodo nel 2001, sempre in D, con la Nuova Verolese. Dal mondo dilettantistico comincia l’esperienza in panchina, che prosegue con tenacia anche dopo aver acquisito a Coverciano, dieci anni dopo, il titolo di tecnico di prima categoria Uefa pro, ossia il diritto ad allenare nella massima serie. Piovani si accorge che il suo posto è nei vivai, ama insegnare calcio e crescere, sognare assieme ai ragazzi, forse perché lui medesimo non ha perduto la purezza del fanciullo.
Dopo tre anni da allenatore della Feralpisalò, con le categorie allievi nazionali e berretti, nell’estate 2017 Piovani riceve una proposta dal Brescia femminile, impegnato a sostituire Milena Bertolini. Le leonesse sono reduci da un secondo posto dietro la Fiorentina e da una finale di Coppa Italia persa sempre con le viola. La società ridisegna la squadra per via della partenza delle nazionali Sara Gama, Martina Rosucci, Valentina Cernoia e Barbara Bonansea. Piovani spiega come avvenne il contatto con il calcio femminile: “Giocando la domenica con i ragazzi, il sabato mi capitava spesso di andare a vedere le partite delle ragazze del Brescia. Ero molto incuriosito da questo movimento che in quel periodo era ancora poco seguito. Mi notarono il direttore sportivo Cristian Peri e il presidente Cesari ad una partita, per l’esattezza Brescia-Fiorentina. Terminò 1-2 e diede lo scudetto alle Viola con due-tre giornate di anticipo. Organizzarono un incontro con me e da lì parti tutto… Accettai subito con grande entusiasmo pur sapendo che l’anno dopo più della metà della squadra sarebbe andata alla Juventus”.

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Il Brescia trattiene ancora per una stagione la bomber della nazionale Cristiana Girelli, i portieri Camelia Ceasar e Chiara Marchitelli, nonché Daniela Sabatino, attaccante che aiuta Piovani a comprendere in profondità il calcio femminile. Inoltre si aggiungono Manuela Giugliano e Brooke Hendrix, oggi centrocampista del Washington Spirit. Il gruppo, presto plasmato secondo le idee del nuovo coach, supera una ad una le avversarie vincendo la Supercoppa e salendo in vetta al campionato. La sconfitta contro la Juve nello spareggio di Novara, ai calci di rigore, nega loro lo scudetto. E’ soltanto la prima amarezza per le leonesse. La società non riesce a trovare le risorse sufficienti per iscriversi al campionato e deve ripartire dalla categoria Eccellenza. Quindi sfuma anche la partecipazione alla Women’s Champions League ottenuta sul campo. Per Piovani, che riceve la panchina d’oro di serie A, la delusione è grande, ma l’idea di mollare non lo sfiora. “Assolutamente non ho mai pensato di abbandonare il femminile. Avevo voglia di ripartire e la fortuna volle che il Sassuolo grazie a Terzi e all’amministratore delegato Carnevali mi fecero questa proposta… Anche qui, vedendo la serietà delle persone e del progetto che avevano in mente, non ci ho pensato un attimo e ho accettato”.
Il Sassuolo di Giorgio Squinzi, patron della Mapei che nel maschile sta ottenendo ottimi risultati, confida nel mister bresciano per raggiungere traguardi anche con la squadra femminile. Del resto Squinzi e la moglie Adriana Spazzoli, recentemente scomparsi, sono stati innovatori anche nello sport. Ne è testimone autorevole la presidente del Sassuolo Betty Vignotto, miglior marcatrice della storia della nazionale italiana con 107 gol, e ancora 467 reti in campionato, sei scudetti e quattro Coppe Italia. Ebbene, in mezzo secolo di calcio, di cui venti giocati, la campionessa originaria di San Donà di Piave ha vissuto, accanto a gratificazioni ed esperienze bellissime, anche molte difficoltà economiche e organizzative. Vignotto vinse tre titoli a Reggio Emilia, dove era giunta nel 1988, e otto anni dopo assunse la carica di presidente in sostituzione dell’industriale Renzo Zambelli. La dipartita di Zambelli ridusse in modo drastico gli investimenti e la Reggiana ripiombò nella crisi. Le granata rimasero aggrappate alla serie A per undici anni di filato e vinsero pure una Coppa Italia nel 2010, ma la stagione successiva non riuscirono a iscriversi al campionato, ripartendo dalla C. “Eppure ogni anno che passa aumentano i numeri delle iscrizioni” ricordava all’epoca Vignotto, amareggiata per le sue giovani: “‘E’ davvero triste veder crescere il movimento alla base ma non poter garantire alle ragazze più brave di vivere con i proventi di questo sport, facendo le professioniste. Altrimenti è difficile fare risultati quando agli allenamenti si sommano anche gli impegni di lavoro e/o di studio”.
Ciò finché Squinzi, seguendo il virtuoso esempio della Fiorentina, non decide di puntare sul calcio femminile creando la prima squadra di calciatrici nella capitale della piastrella. Nel 2015 il gruppo è composto da venti bambine under 12 che partecipano con entusiasmo al torneo provinciale dei Pulcini, affrontando i maschietti di pari categoria. Nel giro di un anno le due realtà della pianura padana convolano a giuste nozze: la Reggiana viene affiliata al club dell’industriale. Vignotto, come tutto il movimento del calcio femminile, è grata a Squinzi, poiché subentrando, il Sassuolo, fornisce un modello di integrazione, una condivisione di conoscenze e di risorse, una solida base da cui spiccare il volo in termini di logistica e di promozione. La società emiliana anzitutto sarà in grado di realizzare in località Cà Marta un centro sportivo di 45mila mq, comprensivo di tre edifici e sei campi, uno dei quali con tribuna coperta, dove si allenano prima squadra e settore giovanile, uomini e donne. Inoltre firmerà, al pari di Milan e Chievo, per un progetto in cui si impegnano ad insegnare il metodo futsal all’interno degli allenamenti di calcio a 11, basato sulla alta qualità tecnica che ha prodotto in Sudamerica. La commozione di Betty nel giorno della presentazione nasce dal sollievo economico ma anche dai valori, dalla “completezza di intenti con una realtà sportiva maschile che afferma la dignità delle ragazze che giocano a calcio e dà a loro opportunità di crescita sportiva e non solo”.

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(da sinistra De Zerbi, Piovani, Adriana Spazzoli)

Quando Piovani si presenta alle neroverdi, che si sono appena salvate ai play-out con l’allenatrice uscente Federica D’Astolfo, trova uno spogliatoio rinnovato per effetto di diverse cessioni e di innesti qualitativi come Martina Lenzini, cursore di fascia capace di difendere e di proporsi in fase offensiva, in virtù della buona velocità e della precisione nei cross. E Claudia Ferrato, miglior realizzatrice a Padova con trenta reti in due stagioni, nazionale under 23, punta dinamica che lavora molto per la squadra ma riesce a mantenere il guizzo nell’area piccola.
Il mister cerca subito l’amalgama durante il ritiro, dove chiede e ottiene grande attenzione. In un campionato più competitivo per l’avvento di corazzate come Milan e Roma femminile, il Sassuolo esprime un buon gioco e si piazza al quinto posto. Sabatino segna 12 dei 27 gol complessivi. Il commento finale del Gianpiero nazionale è un manifesto per il movimento del calcio femminile: “Le ragazze sono sempre sul pezzo, non ho mai finito un allenamento pensando che non mi fosse piaciuto. Non si sono mai risparmiate. C’è poco da fare: ti trasmettono qualcosa in più rispetto agli uomini”. In estate la società, su indicazioni di Piovani, rafforza l’ossatura della squadra nei vari reparti: oltre ai due portieri, arrivano difensori come Grace Cutler dal West Virginia university ed Erika Santoro dal Pink Bari, in mezzo al campo le sorelle Kamila e Michaela Dubcova dallo Slavia Praga, ma anche Emma Errico dal Tavagnacco, mentre il reparto offensivo si dota del capitano Daniela Sabatino, della centravanti della Roma Luisa Pugnali e delle giovani Camilla Labate e Danila Zazzera, in prestito dalla Fiorentina. Pronti, via: allenamenti ogni giorno, martedì e giovedì seduta doppia. Il tecnico assembla rapidamente il nuovo gruppo, le calciatrici più esperte e le giovanissime. Come Maria Luisa Filangeri, siciliana classe 2000, difensore delle viola e della nazionale under 19. Piovani, che l’aveva osservata attentamente l’anno precedente, impiega Filangeri come centrale nella difesa a tre. “E’ brava e duttile, farà bene”.
Il tecnico dunque trasmette alle atlete del Sasol le sue qualità di calciatore e uomo, dentro e fuori dal campo, dove sono fondamentali la capacità di ascolto e di dialogo, l’impegno e la valorizzazione di tutti i componenti. “Credo che il gruppo al giorno d’oggi sia fondamentale per ottenere risultati. Porto sempre esempi alle ragazze di quando giocavo ai tempi del Piacenza dove una squadra tutta italiana riusciva a salvarsi e giocarsela con le big perché si formava un gruppo che prima di essere squadra era famiglia e questo ci ha portato a toglierci grandi soddisfazioni…”.

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Piovani, in che modo il calcio femminile italiano può raggiungere i livelli che merita, ovvero quelli di nazionali come Stati Uniti, Olanda, Francia e Regno Unito?

Credo che per arrivare ai livelli delle top nazionali si debba lavorare ancora molto in ottica di forza e tecnica, mentre a livello tattico siamo avanti rispetto a loro e il mondiale appena giocato ha dimostrato questo…

Betty Vignotto sostiene che la crescita del femminile passa attraverso i club maschili.

Assolutamente d’accordo e noi ne abbiamo l’esempio in casa. Il Sassuolo calcio è una famiglia creata e voluta fortemente dal dottor Squinzi e la dottoressa Spazzoli e noi siamo fieri e orgogliosi di portare in giro per l’Italia questo stemma e questa bandiera… La speranza è che altri club seguano per permettere a più ragazze di entrare in questo magnifico mondo.

Si unisce alla lotta per il professionismo delle calciatrici italiane?

Sicuramente le atlete, per la dedicazione e la voglia di migliorarsi che mettono durante gli allenamenti, meriterebbero di essere retribuite nel modo giusto e soprattutto tutelate sotto ogni punto di vista.

Il calcio resta un ambiente iper maschilista. Si sente spesso in tv o alla radio “va beh, ora passiamo a parlare di calcio vero”. Cosa risponde a questi uomini?

Si sbagliano perché la volontà e la passione che ci mettono le ragazze va oltre… I riscontri che ho avuto sono davvero straordinari.

Le idole della nazionale creano i sogni nelle ragazze e una nuova consuetudine negli occhi e nella mente di addetti ai lavori, spettatori e genitori. In concreto è migliorata la situazione per le bambine e le adolescenti che si affacciano con interesse al calcio?

Oggi le bambine o ragazze che si affacciano al mondo del calcio sono in forte crescita. Si parla addirittura del 30% in più rispetto al passato ma si spera che col passare del tempo si arrivi ad una percentuale molto più alta.

Ha vissuto il calcio maschile e quello femminile, che differenze riscontra? Cominciamo dai campi: alcuni osservatori sostengono che siano troppo grandi.

Per quanto riguarda le misure del campo lascerei tutto così com’è anche perché le ragazze hanno capacità aerobiche importanti e velocità di esecuzione. È normale che a livello di forza non siano come gli uomini ma…

Creatività?

Le vedo fare gesti tecnici di grandissima qualità.

Applicazione degli schemi.

In allenamento c’è molta abnegazione. Il lavoro è improntato più sulla fase offensiva perché la percentuale di gol nel femminile è molto bassa e quindi lavoriamo per alzare la media…

La differenza quindi?

Le ragazze ti danno più soddisfazione degli uomini per il modo di approcciarsi all’allenamento e alle partite. Anche in una squadra molto giovane come la nostra, che dovrà lavorare tanto ma in futuro potrà ottenere importanti gratificazioni.

 

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Carolina Morace, intervista esclusiva

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Carolina Morace. Avvocato, pioniera del calcio femminile, bomber e allenatrice, opinionista, Fifa’s Legend, Fifa e Uefa Instructor. Sempre per la FIFA impegnata in Papua Nuova Guinea e in Iran. Prima donna nel 2015 ad entrare nella Hall of Fame istituita dalla Fgci e dalla Fondazione museo del calcio quattro anni prima. Scendendo in campo per un’intervista, mi tremano le gambe… ci provo.

1) Morace centravanti. Esordio a 11 anni a Venezia, tre anni dopo già in Nazionale, un’avventura durata un ventennio e 105 gol, con la quaterna di Wembley nel ’90 che resiste come record assoluto fra uomini e donne; due volte finalista agli Europei, dodici scudetti e 13 volte capocannoniere. Qual è stata la più grande emozione sul campo?

Sicuramente i 4 goals a Wembley. Credo che per ogni individuo che ami il calcio, Wembley rappresenti il Tempio di questo sport. Ed il mio allenatore me l’aveva detto: “Se segni qui puoi dire di essere una giocatrice di calcio”.

2) Che differenze riscontra a livello di gioco fra le squadre femminili di allora e di oggi?

Oggi tatticamente le squadre sono più preparate, noi marcavamo a zona mista con il libero comunque staccato, mai in linea. Era la zona mista di Sacchi con Baresi posizionato sempre qualche metro dietro alla linea difensiva… Adesso giocano tutti a zona poi, in base alle capacità del tecnico, puoi anche vedere un gioco organizzato, i sistemi di gioco sono ben definiti.Tecnicamente eravamo molto forti, certo oggi la velocità è maggiore. Però non è un caso che la mia generazione sia arrivata ad essere per due volte vice campione d’Europa. C’erano giocatrici straordinarie come Vignotto, Ferraguzzi, Bonato, Ciardi, Marsiletti. Tante altre forti, dovrei citarle tutte. Ma non c’era la televisione, anche i dirigenti sono colpevoli perchè venivano a vederci raramente. Sono sicura che avremmo entusiasmato la gente.

3) Solo dal 2015 alcune società professionistiche investono nel calcio femminile, ma le atlete restano ancora senza salario minimo, assistenza sanitaria, contributi previdenziali, Tfr, maternità e ferie pagate. Quali passi concreti occorrono per raggiungere la parità?

Quando si parla di parità bisogna essere chiari. Qui non si invoca la parità salariale. I calciatori generano un business che, forse, un giorno raggiungeremo anche noi. Ma ora siamo solo all’inizio del nostro percorso. Tutto ciò che hai menzionato deve essere la priorità perché è impossibile dare il massimo se non si hanno le minime garanzie sul proprio futuro. Cosa accadrà quando le atlete smetteranno di giocare ed entreranno nel mondo del lavoro con un ritardo di almeno 15 anni rispetto i loro coetanei? E molte atlete decidono di non proseguire gli studi.

4) Nel suo libro, La prima punta (People editore, 2019), racconta come le venne spontaneo giocare a calcio nella struttura della Marina Militare (per via del padre ufficiale) dove c’erano attrezzature sportive.

E’ naturale che in presenza di strutture sportive i bambini siano liberi di sperimentare e scegliere lo sport preferito senza essere condizionati dai genitori. Che di solito, inevitabilmente, scelgono per i figli lo sport da praticare.

5) Il sistema non destina risorse adeguate nei settori giovanili e nelle categorie inferiori del calcio femminile poiché considera insufficiente il ritorno economico in termini di immagine e pubblicità. Come superare questa barriera anche culturale?

Scegliendo le giuste persone nei posti chiave. Non è un caso che il progetto di sviluppo del calcio femminile sia stato fatto da un manager cinquantenne, Michele Uva, quando era direttore generale della Federazione (dal 2009 al 2018 nda).

6) Passiamo a Morace tecnico: prima donna al mondo ad allenare una squadra maschile, la Viterbese in C1 nel 1999. Come andarono le cose?

Dopo la partita persa fuori casa con il Crotone per 5 a 3 (con 3 calci di rigore contro) mi chiamò Gaucci dicendo che voleva licenziare il mio preparatore fisico, il professor Luigi Perrone. Io gli risposi che se avesse mandato via lui avrebbe dovuto mandare via anche me. Gaucci mi disse ‘no, lei non la mando via’ ed allora io gli dissi che mi sarei dimessa. La stima era reciproca. Mi fece poi chiamare da tutti ma un’interferenza del genere, quando capita una volta, capiterà anche la seconda volta. Tanti allenatori accettano, io no.

7) Alla guida della Nazionale italiana nel 2004 conquistò il quarto posto nella Algarve Cup, dopo aver battuto Cina e Finlandia. La Federazione, all’epoca, aveva intenzione di investire nel progetto?

No.

8) Da ct del Canada, con staff tutto italiano, conquistò la Concacaf Women’s Gold Cup nel 2010, poi è stata allenatrice e direttrice tecnica di Trinidad e Tobago. Le sostanziali differenze tra questi paesi e il nostro come organizzazione e come impatto sul pubblico?

In Canada il calcio femminile è lo sport più popolare, in Italia siamo ancora indietro ma sulla buona strada se la Figc continuerà a credere in questo sport. A Trinidad & Tobago sono in via di sviluppo ed hanno molti problemi organizzativi in genere.

9) Perché le calciatrici Usa sono le più preparate atleticamente del mondo?

Il bacino in cui scegliere è molto ampio, crescono da generazioni a generazioni facendo sport. Sarà in grado di battere le americane una squadra che reggerà il loro passo, con l’aiuto dell’organizzazione di gioco: si può fare. In questo Mondiale ho visto qualcosa tatticamente solo dalla nazionale olandese e da quella italiana.

10) Alla vigilia indicò come sorpresa del torneo proprio l’Olanda, poi arrivata in finale attraverso un gioco veloce e divertente. Il loro campionato esiste solo da 12 anni, sono semiprofessioniste da poco, l’attenzione mediatica è scarsa e gli stadi semivuoti. Qual è il loro segreto?

La cultura. Ogni paese ha la sua cultura.

11) Cosa pensa dell’insegnamento del futsal nelle scuole calcio come fanno in Sudamerica?

Se troviamo nelle nostre scuole uno spazio da adibire a futsal perchè no? Ma non credo ci siano molti spazi nelle scuole italiane. E’ giusto che lo sport in Italia sia demandato alle squadre dilettantistiche, che perciò dovrebbero essere sostenute maggiormente dal governo soprattutto con la formula degli sgravi fiscali. E mi riferisco alle sponsorizzazioni, unica fonte di sostentamento per queste società.

12) Trent’anni fa a Roma lei fondò una scuola di calcio mista. Oggi è finalmente una prassi diffusa – da alcune ricerche ho scoperto che in alcune realtà, come Parma e nel Bresciano, le prime squadre interamente femminili, a 12 anni, hanno battuto i coetanei maschi. Fino a che età pensa sia utile giocare contro i ragazzi in campionato e quando invece incontrarli solo in amichevole?

Io non sono nemmeno per le amichevoli. Se una squadra professionistica contrappone alle donne dei quattordicenni, fisicamente rimangono leggermente più forti, magari meno coordinati ma il loro è un calcio da ragazzi, non da adulti. Il calcio delle donne è un calcio da adulti. Il misto va bene dall’età infantile fino alla pubertà.

13) Il maschilismo ambientale oggigiorno è diminuito? Ricordo un suo gol spettacolare da trenta metri: lo definirono casuale, eppure, se fosse stato Maradona…

In Italia ci sono tante persone intelligenti e di media cultura ma anche molti ignoranti. E l’ignoranza qui è un vanto, non una vergogna. Io da tanto tempo non mi interesso più dell’opinione delle persone che non stimo. Poi, avendo vissuto all’estero, vedo sempre più il nostro paese come una piccola parte di un universo ben più grande.

14) Il talento va riconosciuto e coltivato. Esiste oggi fra le donne, in termini assoluti, un genio alla Messi o forse è nascosto in qualche campetto di periferia?

No, non c’è attualmente una Messi ma tante brave giocatrici.

15) La ct Bertolini ha sostenuto che il “calcio di Guardiola è femmina”, perché le atlete sono più propense al possesso palla, al fraseggio e al gioco corto. Parlando di tattica il femminile semiprofessionistico non esisteva ai tempi delle squadre maschili che hanno fatto la storia: la grande Honved, l’Olanda di Michels, il Milan di Sacchi o il calcio utilitaristico di Herrara e Trapattoni. Quale sistema di gioco preferisce e quale pensa sia più adatto al calcio femminile?

Non c’è un sistema più adatto al calcio femminile, valuto quello che è più adatto alle qualità delle mie giocatrici, dei miei giocatori. Per questo motivo noi allenatori non dovremmo avere un sistema preferito.
(intervista realizzata il 31 gennaio 2020)

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