Historia calcii, dal Re Lear alle Leonesse

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Proseguono le anticipazioni del nuovo libro, quest’oggi ci occupiamo delle origini del calcio.

L’uovo o la gallina

E’ impossibile stabilire con esattezza la nascita del gioco con la palla tra i piedi. Può essere avvenuto in qualsiasi momento, in qualsiasi luogo. Piazza, spiaggia, prato, castello, vicolo. Il giornalista sportivo Emanuele Santi, sul settimanale <<Left Avvenimenti>>, dedicava la seguente sintesi alla mia precedente ricerca sulla nascita del calcio: “Dal cinese Tsu-Chu al greco Epìskyros, dall’Harpastum dei legionari romani al calcio fiorentino del Rinascimento fino a una geniale citazione dal Re Lear di Shakespeare che attesta la notorietà di qualcosa di simile al calcio ancor prima del 1863, anno di nascita della Football Association (non a caso all’apice della rivoluzione industriale)”.

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Il gioco esiste da millenni, e nella forma del pallone calciato coi piedi certamente da secoli. Per l’appunto nel Re Lear il conte di Kent, dopo aver atterrato con uno sgambetto Osvaldo, maggiordomo della figlia del sovrano Gonerilla, lo apostrofa così: “Beccati questa, cattivo giocatore di calcio!”. Soltanto nella seconda metà dell’Ottocento alcuni alti papaveri del Regno Unito decisero di apporre le loro bombette sul copyright costituendo la Football Association. Negli intendimenti di parte dei ceti dominanti il gioco avrebbe avuto una funzione di controllo sociale, dacché i lavoratori sfruttati nelle fabbriche inglesi, appassionandosi alle partite nei giorni festivi, avrebbero sottratto energie fisiche e mentali alle lotte per la rivendicazione dei loro diritti. Elisabetta Graziani, giornalista dell’agenzia di stampa <<La Presse>>, si concentrò sul capitolo dedicato all’uso del calcio come arma di distrazione in tempi moderni: “Coadiuvato da autorevoli sociologi come il professor Elio Matassi e lo scrittore Andrea Ferreri, viene sviluppata un’analisi sul controllo sociale, adoperando anche la metafora di Fantozzi inebetito dal triplo oppiaceo soldi, tv, calcio e incapace di reagire ai soprusi della politica”.
Queste riflessioni, tuttavia, non debbono indurci a concludere che il calcio sia una costruzione calata dall’alto, indotta, semplicemente occorre tenere presente l’uso distorto che il potere economico e politico, militare e mafioso, fanno del gioco più amato del pianeta.
La Football Association nacque su iniziativa di undici club britannici il 26 ottobre 1863, con la benedizione della massoneria inglese: i primi meeting si tennero alla Freemasons’ Tavern di Londra, dirimpetto al quartier generale della Gran Loggia Unita d’Inghilterra, la Freemasons’ Hall. Un ventennio più tardi, sempre allo scopo di rendere popolare il giuoco nella working class, fu consentito l’ingresso delle donne negli stadi. Il Preston North End, vincitore del campionato inglese, stabilì persino la loro entrata gratuita. Alla prima partita casalinga si presentarono in duemila spettatrici, e l’entusiasmo crebbe al punto da allarmare gli organizzatori. Le tifose infatti non si limitarono alla sporadica curiosità, alla gita domenicale accanto ai mariti e ai figli per poi tornare chiuse in casa a sbrigare le faccende domestiche e tutti gli obblighi che il patriarcato imponeva a ogni moglie e madre. Sì, volevano giocare anch’elle. E non v’è dubbio che lo avessero fatto molto tempo prima di essersi recate allo stadio. Anni, decenni, secoli prima. Non è dato sapere se sia stata una donna o un uomo, una ragazza o un ragazzo, una bambina o un bambino, il primo essere umano a controllare un oggetto sferico, palleggiare, passarlo ad un’altra persona, calciarlo all’interno di una porta, foss’anche rappresentata da un paio di alberi o da due pezzi di legno.
Ampliando il discorso a tutti gli ambiti della vita, gli studi di archelogi e antropologi non hanno permesso di stabilire scientificamente se, nella preistoria, le prime scoperte umane fossero opera maschile o femminile. Vi sono testimonianze di società matricentriche prima che il patriarcato si affermasse nel corso dei secoli in quasi tutte le culture, ma anche all’interno di esse si sono manifestate eccezioni importanti. Regine, sacerdotesse, condottiere, magistrate, medichesse, e poi matematiche, scienziate, filosofe, psicoanaliste, ingegnere che hanno primeggiato sugli uomini sono presenti nei libri sacri e nei documenti storici. Restando in Gran Bretagna, nella parte centrale dell’isola, 2000 anni orsono stupì il mondo la regina degli Iceni: Boudicca, nome che deriva dal sostantivo celtico “bouda”, vittoria. Alla morte del marito Prasutago, nel 60 d.C., scoppiò una rivolta perché la legge romana – prescrivendo solo lasciti per via maschile – non riconosceva la validità del testamento a favore della vedova. Il rifiuto di versare le somme pretese costò a Boudicca l’arresto e l’umiliazione delle frustate. Le sue due figlie vennero violentate. Allorché la regina fu in grado di radunare centomila ribelli, molti dei quali provenienti da tribù vicine, sferró un attacco nei pressi dell’attuale Colchester all’ esercito romano, fino ad allora invincibile. E invece gli Iceni conquistarono la “bouda” sfruttando l’effetto sorpresa e il momento propizio, ovvero quando le truppe nemiche erano divise, in assenza dei soldati del proconsole Gaio Svetonio Paolino che si trovavano in Galles a distanza di sicurezza. La descrizione di Boudicca è un intreccio di potenza e bellezza androgina: comandante impavida, armata di lancia e osannata dalle folle, si distingue per la corporatura robusta e l’altezza; i lunghi selvatici capelli rossi le scivolano sulla tunica colorata cinta da una fibbia. Gli Iceni liberarono sia Londra che Saint Albans ma alla fine l’esercito guidato dal proconsole Paolino, nettamente superiore sul piano militare, li costrinse alla resa a Nuneaton. I Romani si raggrupparono protetti dagli scudi, lanciarono i giavellotti, avanzarono a ondate di fanteria e finirono gli avversari con manovre a tenaglia della cavalleria. Come riporta Tacito negli Annales, Boudicca si rinchiuse in una stanza scegliendo di darsi la morte con il veleno pur di non cadere in schiavitù: “Se i Britanni avessero considerato la forza dei loro eserciti e le ragioni della guerra, avrebbero dovuto, in quella battaglia, vincere o morire. Questo, lei, donna, aveva comandato a sé; gli uomini conservassero pure la vita e si piegassero a servire”.
Prima che nascesse il football, nella Gran Bretagna ottocentesca donne di ogni settore avevano sovrastato gli uomini: dalla matematica Ada Lovelance, considerata la madre dei computer moderni, a Florence Nightingale, fondatrice della scienza infermieristica, alla giornalista Margaret Fuller, antesignana della critica letteraria che seguì Giuseppe Mazzini nella Repubblica romana contribuendo alla stagione di liberazione dalla Chiesa; da Mary Shelley a Virginia Woolf passando per le innumerevoli suffragette che si sono susseguite in oltre un secolo di battaglie, dalla prima dichiarazione dei diritti della donna di Mary Wollstonecraft alle manifestazioni per il voto di Emmeline Goulden Pankhurst.
Mentre le femministe, con ogni forma di protesta, circumnavigavano il Parlamento britannico allo scopo di veder riconosciuta l’Eguaglianza, le calciatrici scendevano in campo su un altro terreno che gli uomini presumevano di esclusiva proprietà: il calcio.

 

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(La maestosa statua che raffigura Boudicca)

 

Fischio d’inizio

Il 7 maggio 1881, allo stadio Easter Road di Edimburgo, si disputò la prima partita ufficiale di calcio femminile della storia fra la rappresentativa scozzese e quella inglese. Analogamente alle letterate e alle donne che eccellevano nel discorso pubblico, le calciatrici optarono per l’uso di pseudonimi. Nellie Hudson adoperava Nettie Honeyball, Helen Matthews, che si presentava come Mrs Graham, dava il nome a tutto il team della Scozia. La sede era situata simbolicamente a Stirling, città nota da mezzo millennio per la vittoria indipendentista di William Wallace contro l’esercito della regina. Secondo la cronaca riportata dal <<Glasgow Herald>> le formazioni erano composte da ragazze fra i 18 e i 24 anni che indossavano bluse e calzoncini larghi, sugli spalti erano presenti numerosi spettatori. La squadra scozzese, Graham’s XI, sconfisse le inglesi col punteggio di 3-0. A causa delle tifoserie la rivincita, una decina di giorni dopo allo Shawfields di Glasgow, fu interrotta dall’arbitro al 55esimo minuto: gruppi di uomini scatenarono una rissa con conseguente invasione di campo. Tra maggio e giugno dello stesso anno vi furono altri sei derby con la netta supremazia delle scozzesi. Gli ostacoli sul cammino delle calciatrici erano frapposti anche da medici compiacenti, i quali, assecondando i desiderata del sistema patriarcale, sostennero tesi indimostrate, ad esempio che quel tipo di attività fisica nuocesse al corpo femminile, specialmente durante la pubertà e le mestruazioni, mettendo a rischio la capacità riproduttiva.
La prima partita nella capitale si svolse nel marzo 1895, al Nightingdale Lane Ground di Crouch End, sobborgo borghese settentrionale di Londra. Fu possibile grazie a Nettie Honeyball, che aveva appena istituito il British Ladies Football Club. La giocatrice fece pubblicare annunci sui giornali ai quali risposero decine di ragazze della middle class. Alla fine il match fra le rappresentative North e South si concluse 7-1 a favore delle “nordiste”, ma il vero successo fu di pubblico: circa diecimila persone affollavano le tribune, un evento epocale. <<The Sporting Man di Newcastle>> commentò in modo severo la partita ma, allo stesso tempo, fornì una spiegazione logica che oggi schiarirebbe le idee a molti uomini che ritengono il calcio femminile inferiore a prescindere: “Siamo sicuri che se prendessimo una ventina di uomini a caso, ignari del gioco, dessimo loro qualche giorno di tempo per allenarsi e li facessimo poi esibire in pubblico, potremmo aspettarci qualcosa di meglio?”.
Durante la prima guerra mondiale, con i soldati al fronte e i campionati maschili sospesi, il calcio femminile conobbe un’ulteriore crescita. Nell’ottobre del 1917, mentre i bolscevichi si apprestavano a prendere il potere in Russia, alcune operaie della Dick, Kerr and Co Ltd, una fabbrica di accessori ferroviari con sede a Preston, fondarono una squadra femminile. Il <<Daily Post>>, scrivendo del debutto ufficiale allo stadio Deepdale, promosse a pieni voti le Dick, Kerr, scese sul rettangolo verde con le maglie lasciate negli spogliatoi dai colleghi: “Avevano una migliore comprensione a tutto tondo del gioco. Il loro lavoro in avanti, infatti, è stato spesso sorprendentemente buono”. Il blogger Stefano Affolti riporta anche i tabellini della Munitionettes’ Cup, allestito tra il 1917 e il 1919 con l’adesione di una trentina di squadre provenienti da tutto il Paese. Le Blyth Spartans Ladies di Newcastle, trascinate dall’attaccante Bella Reay con 133 reti in un solo anno, rimasero imbattute per due stagioni e stracciarono per 5-0 il Blockow Vaughan. Gli spettatori del match, disputato a Middlesbrough nel maggio 1918, raggiunsero quota 33mila. La circostanza che molte formazioni nascessero all’interno delle industrie belliche è stata fonte d’ispirazione per molti. Stefano Massini, nel libro Ladies Football club, inventa la storia della Doyle & Walker Munizioni di Sheffield: le lavoratrici sono protagoniste di una partita contro gli uomini, organizzata da questi ultimi allo Stamford Bridge per esprimere gratitudine. Le immaginarie parole dello speaker restituiscono il senso della concessione transitoria: “Uomini e donne d’Inghilterra, qui, in un tempio del football, oggi rendiamo omaggio a queste ragazze: nonostante non sia per loro lo sport più naturale, l’hanno celebrato in nostra assenza emulando il maschile vigore. Dunque si sappia, gente d’Inghilterra: quando il fronte ci chiamava, a loro cedemmo il pallone, e oggi dalle loro mani lo riprendiamo”.
Le atlete non accettano il diktat. Se nel romanzo di Massini si portano via il pallone per dimostrare di essere le uniche padrone della loro vita, nel mondo reale il 29 aprile 1920, a Manchester, disputano la prima partita internazionale: da una parte le Dick, Kerr, dall’altra una rappresentativa della Francia, che aveva creato il campionato nazionale l’anno precedente su impulso della Federation des Societes Feminines Sportives, guidata da Alice Milliat; sulle tribune 25mila persone.
Il picco di pubblico fu registrato a Liverpool il 26 dicembre 1920 in occasione della sfida fra Dick, Kerr e St. Helen Ladies. Secondo le fonti dell’epoca al Goodison Park, stadio dell’Everton, si stiparono almeno 53mila spettatori, ma cinquemila sarebbero rimasti chiusi fuori. Tra le ragazze di Preston si segnalava l’ala Lily Parr, il cui tiro era stimato più potente degli atleti maschi coevi. Parr nel 2002 è stata inserita come prima donna nella Hall of Fame del calcio britannico, lo stesso premio ricevuto da Carolina Morace in Italia. L’anno seguente si contavano già 150 squadre femminili. La Football association, in nome e per conto di un diffuso quanto tormentato maschilismo, corse ai ripari: il 5 dicembre 1921 bandì il calcio femminile e invitò tutte le società a rifiutare l’uso dei campi di gioco alle squadre delle ladies. Se la motivazione era una presunta inadeguatezza delle donne al football, il grimaldello fu una calunnia: le ragazze furono accusate di intascarsi gli incassi delle partite destinati alla beneficenza per gli ospedali e ai reduci di guerra. Non accettarono l’ingiustizia, bensì lottarono con lo spirito di Boudicca. Mentre emigravano nei campetti di periferia,  le rappresentanti di una trentina di società diedero vita a Liverpool alla English Ladies Football Association. Alfred Frankland, manager della Dick, Kerr, dichiarò: “Noi continueremo, se gli organizzatori di eventi benefici reperiranno i campi, a costo di giocare sui terreni arati”. Anche la parità per legge restava una chimera: il diritto di voto alle donne sarà concesso solo sette anni più tardi. Nel frattempo le Dick, Kerr si recarono negli Stati Uniti per giocare una decina di partite contro squadre maschili. I match attirarono la curiosità del pubblico, in media fra i cinque e i diecimila spettatori, e dimostrarono il valore del calcio femminile. Peter Renzulli, portiere del Paterson, ammise: “Noi eravamo campioni nazionali ma per batterle facemmo una fatica infernale”.
Il bando è stato revocato solo nel 1971 e la Football Association ha impiegato altri 38 anni prima di formalizzare le proprie scuse pubbliche.

 

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Carolina Morace, bomber, allenatrice, opinionista e ambasciatrice FIFA, è la prima donna a entrare nella Hall of Fame italiana nel 2004. Lily Parr, calciatrice degli anni ’20, è stata inserita per prima nella Hall of Fame inglese nel 2002.

 

Carolina Morace, intervista esclusiva

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Carolina Morace. Avvocato, pioniera del calcio femminile, bomber e allenatrice, opinionista, Fifa’s Legend, Fifa e Uefa Instructor. Sempre per la FIFA impegnata in Papua Nuova Guinea e in Iran. Prima donna nel 2015 ad entrare nella Hall of Fame istituita dalla Fgci e dalla Fondazione museo del calcio quattro anni prima. Scendendo in campo per un’intervista, mi tremano le gambe… ci provo.

1) Morace centravanti. Esordio a 11 anni a Venezia, tre anni dopo già in Nazionale, un’avventura durata un ventennio e 105 gol, con la quaterna di Wembley nel ’90 che resiste come record assoluto fra uomini e donne; due volte finalista agli Europei, dodici scudetti e 13 volte capocannoniere. Qual è stata la più grande emozione sul campo?

Sicuramente i 4 goals a Wembley. Credo che per ogni individuo che ami il calcio, Wembley rappresenti il Tempio di questo sport. Ed il mio allenatore me l’aveva detto: “Se segni qui puoi dire di essere una giocatrice di calcio”.

2) Che differenze riscontra a livello di gioco fra le squadre femminili di allora e di oggi?

Oggi tatticamente le squadre sono più preparate, noi marcavamo a zona mista con il libero comunque staccato, mai in linea. Era la zona mista di Sacchi con Baresi posizionato sempre qualche metro dietro alla linea difensiva… Adesso giocano tutti a zona poi, in base alle capacità del tecnico, puoi anche vedere un gioco organizzato, i sistemi di gioco sono ben definiti.Tecnicamente eravamo molto forti, certo oggi la velocità è maggiore. Però non è un caso che la mia generazione sia arrivata ad essere per due volte vice campione d’Europa. C’erano giocatrici straordinarie come Vignotto, Ferraguzzi, Bonato, Ciardi, Marsiletti. Tante altre forti, dovrei citarle tutte. Ma non c’era la televisione, anche i dirigenti sono colpevoli perchè venivano a vederci raramente. Sono sicura che avremmo entusiasmato la gente.

3) Solo dal 2015 alcune società professionistiche investono nel calcio femminile, ma le atlete restano ancora senza salario minimo, assistenza sanitaria, contributi previdenziali, Tfr, maternità e ferie pagate. Quali passi concreti occorrono per raggiungere la parità?

Quando si parla di parità bisogna essere chiari. Qui non si invoca la parità salariale. I calciatori generano un business che, forse, un giorno raggiungeremo anche noi. Ma ora siamo solo all’inizio del nostro percorso. Tutto ciò che hai menzionato deve essere la priorità perché è impossibile dare il massimo se non si hanno le minime garanzie sul proprio futuro. Cosa accadrà quando le atlete smetteranno di giocare ed entreranno nel mondo del lavoro con un ritardo di almeno 15 anni rispetto i loro coetanei? E molte atlete decidono di non proseguire gli studi.

4) Nel suo libro, La prima punta (People editore, 2019), racconta come le venne spontaneo giocare a calcio nella struttura della Marina Militare (per via del padre ufficiale) dove c’erano attrezzature sportive.

E’ naturale che in presenza di strutture sportive i bambini siano liberi di sperimentare e scegliere lo sport preferito senza essere condizionati dai genitori. Che di solito, inevitabilmente, scelgono per i figli lo sport da praticare.

5) Il sistema non destina risorse adeguate nei settori giovanili e nelle categorie inferiori del calcio femminile poiché considera insufficiente il ritorno economico in termini di immagine e pubblicità. Come superare questa barriera anche culturale?

Scegliendo le giuste persone nei posti chiave. Non è un caso che il progetto di sviluppo del calcio femminile sia stato fatto da un manager cinquantenne, Michele Uva, quando era direttore generale della Federazione (dal 2009 al 2018 nda).

6) Passiamo a Morace tecnico: prima donna al mondo ad allenare una squadra maschile, la Viterbese in C1 nel 1999. Come andarono le cose?

Dopo la partita persa fuori casa con il Crotone per 5 a 3 (con 3 calci di rigore contro) mi chiamò Gaucci dicendo che voleva licenziare il mio preparatore fisico, il professor Luigi Perrone. Io gli risposi che se avesse mandato via lui avrebbe dovuto mandare via anche me. Gaucci mi disse ‘no, lei non la mando via’ ed allora io gli dissi che mi sarei dimessa. La stima era reciproca. Mi fece poi chiamare da tutti ma un’interferenza del genere, quando capita una volta, capiterà anche la seconda volta. Tanti allenatori accettano, io no.

7) Alla guida della Nazionale italiana nel 2004 conquistò il quarto posto nella Algarve Cup, dopo aver battuto Cina e Finlandia. La Federazione, all’epoca, aveva intenzione di investire nel progetto?

No.

8) Da ct del Canada, con staff tutto italiano, conquistò la Concacaf Women’s Gold Cup nel 2010, poi è stata allenatrice e direttrice tecnica di Trinidad e Tobago. Le sostanziali differenze tra questi paesi e il nostro come organizzazione e come impatto sul pubblico?

In Canada il calcio femminile è lo sport più popolare, in Italia siamo ancora indietro ma sulla buona strada se la Figc continuerà a credere in questo sport. A Trinidad & Tobago sono in via di sviluppo ed hanno molti problemi organizzativi in genere.

9) Perché le calciatrici Usa sono le più preparate atleticamente del mondo?

Il bacino in cui scegliere è molto ampio, crescono da generazioni a generazioni facendo sport. Sarà in grado di battere le americane una squadra che reggerà il loro passo, con l’aiuto dell’organizzazione di gioco: si può fare. In questo Mondiale ho visto qualcosa tatticamente solo dalla nazionale olandese e da quella italiana.

10) Alla vigilia indicò come sorpresa del torneo proprio l’Olanda, poi arrivata in finale attraverso un gioco veloce e divertente. Il loro campionato esiste solo da 12 anni, sono semiprofessioniste da poco, l’attenzione mediatica è scarsa e gli stadi semivuoti. Qual è il loro segreto?

La cultura. Ogni paese ha la sua cultura.

11) Cosa pensa dell’insegnamento del futsal nelle scuole calcio come fanno in Sudamerica?

Se troviamo nelle nostre scuole uno spazio da adibire a futsal perchè no? Ma non credo ci siano molti spazi nelle scuole italiane. E’ giusto che lo sport in Italia sia demandato alle squadre dilettantistiche, che perciò dovrebbero essere sostenute maggiormente dal governo soprattutto con la formula degli sgravi fiscali. E mi riferisco alle sponsorizzazioni, unica fonte di sostentamento per queste società.

12) Trent’anni fa a Roma lei fondò una scuola di calcio mista. Oggi è finalmente una prassi diffusa – da alcune ricerche ho scoperto che in alcune realtà, come Parma e nel Bresciano, le prime squadre interamente femminili, a 12 anni, hanno battuto i coetanei maschi. Fino a che età pensa sia utile giocare contro i ragazzi in campionato e quando invece incontrarli solo in amichevole?

Io non sono nemmeno per le amichevoli. Se una squadra professionistica contrappone alle donne dei quattordicenni, fisicamente rimangono leggermente più forti, magari meno coordinati ma il loro è un calcio da ragazzi, non da adulti. Il calcio delle donne è un calcio da adulti. Il misto va bene dall’età infantile fino alla pubertà.

13) Il maschilismo ambientale oggigiorno è diminuito? Ricordo un suo gol spettacolare da trenta metri: lo definirono casuale, eppure, se fosse stato Maradona…

In Italia ci sono tante persone intelligenti e di media cultura ma anche molti ignoranti. E l’ignoranza qui è un vanto, non una vergogna. Io da tanto tempo non mi interesso più dell’opinione delle persone che non stimo. Poi, avendo vissuto all’estero, vedo sempre più il nostro paese come una piccola parte di un universo ben più grande.

14) Il talento va riconosciuto e coltivato. Esiste oggi fra le donne, in termini assoluti, un genio alla Messi o forse è nascosto in qualche campetto di periferia?

No, non c’è attualmente una Messi ma tante brave giocatrici.

15) La ct Bertolini ha sostenuto che il “calcio di Guardiola è femmina”, perché le atlete sono più propense al possesso palla, al fraseggio e al gioco corto. Parlando di tattica il femminile semiprofessionistico non esisteva ai tempi delle squadre maschili che hanno fatto la storia: la grande Honved, l’Olanda di Michels, il Milan di Sacchi o il calcio utilitaristico di Herrara e Trapattoni. Quale sistema di gioco preferisce e quale pensa sia più adatto al calcio femminile?

Non c’è un sistema più adatto al calcio femminile, valuto quello che è più adatto alle qualità delle mie giocatrici, dei miei giocatori. Per questo motivo noi allenatori non dovremmo avere un sistema preferito.
(intervista realizzata il 31 gennaio 2020)

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